«L’abolizione delle più vecchie accise è qualcosa che mi riprometto di portare a casa solo nel 2019». Le ultime parole famose del vicepremier Salvini sul taglio dei balzelli che attualmente gravano sul costo del carburante e, di conseguenza, sui nostri portafogli.

Parole che fanno a pugni con la realtà di questi giorni, con il prezzo della benzina che in autostrada ha superato, in certi casi, la soglia dei due euro al litro (un aumento del 7% su base annua). A parità di potere d’acquisto, più cara che ai tempi della crisi petrolifera. Correvano i «favolosi» anni Settanta.

Le ragioni di questa brusca impennata del prezzo della «verde» e del diesel sono tante, vanno dalle tensioni commerciali a livello mondiale alla crisi libica, fino alla recente decisione di Donald Trump di inasprire le sanzioni contro l’Iran, annunciando anche di non voler più concedere spazi di flessibilità ai paesi «alleati», tra cui, ovviamente, l’Italia. Una decisione che ha fatto salire fino a 66 dollari il prezzo di un barile di petrolio, come non accadeva da sei mesi a questa parte.

Variabili esogene, a ben vedere, che nel nostro Paese, però, vanno ad impattare su un costo alla pompa gravato da ben diciassette accise e da un’imposta sul valore aggiunto del 22%. Incredibile: dal finanziamento della guerra in Etiopia (1935) al terremoto in Emilia Romagna (2012), l’imposizione sulla produzione e sul consumo di derivati del petrolio in Italia arriva ad incidere per oltre il 60% sul prezzo finale del prodotto.

È una vecchia storia. Dalla «tassa sul macinato», che Quintino Sella volle per portare in pareggio il bilancio del Regno d’Italia, alle «clausole di salvaguardia» basate sulla variazione automatica di Iva e accise introdotte da Berlusconi nel 2011 e rinnovate, di esercizio in esercizio negli anni successivi, fino alla «manovra del popolo» del governo giallo-verde, la tendenza a scaricare sui ceti popolari, indirettamente, il costo del risanamento finanziario o del finanziamento di spese eccezionali è stata una costante nella storia del Paese. Strada facile: le tasse puoi anche evaderle, la spesa sei costretto a farla, come pure prendere l’automobile.

Ma veniamo a oggi. I prezzi eccezionali che si stanno registrando in questi giorni potrebbero non essere tanto eccezionali e non si esclude nemmeno che nelle prossime settimane si possano verificare nuovi rincari. Una vera sciagura per famiglie ed imprese, mentre l’economia nel suo complesso continua a ballare sul crinale stagnazione/recessione, col rischio di un avvitamento della spirale conti pubblici/Pil dagli esiti, a questo punto, davvero imprevedibili.

Pesa, come si diceva, anche la spada di Damocle delle clausole di salvaguardia, che il governo ha detto di voler sterilizzare, senza però indicare nel Documento di Economia e Finanza appena licenziato le risorse con le quali l’operazione potrebbe essere portata a termine. Parliamo di 23 miliardi nel 2020 e di 29 miliardi nel 2021 (il governo precedente si era impegnato rispettivamente per 19,2 e 19,6 miliardi), dei quali una parte non trascurabile dovrebbe arrivare proprio dall’incremento dell’Iva e delle accise sui carburanti.

Dall’aumento di quest’ultime, in particolare, il governo ha stimato di incassare 400 milioni di euro. A meno che il governo non proceda con tagli di valore corrispondente alla spesa pubblica in sede di approvazione della prossima legge di bilancio. D’altronde, avendo escluso una patrimoniale sulle grandi ricchezze, non rimarrebbe che colpire, ulteriormente, la sanità, l’istruzione, la ricerca, gli enti locali, i trasporti. È la promessa che hanno fatto a Bruxelles: spendiamo un po’ di più quest’anno ma ci impegniamo a stringere la cinghia l’anno prossimo. Non a caso, in gergo tecnico, la clausole di salvaguardia vengono definite «misure di maggiore entrata a efficacia differita».