Qual è stato il vostro percorso e quali gli aspetti fondamentali dei processi che si sono prodotti?

Per le giornate di Genova si era costituito un legal team in aiuto e supporto ai manifestanti. Ovviamente nessuno pensava quello che sarebbe successo in quei giorni. Di fatto, quindi, ci siamo trovati a dover affrontare più di un procedimento, dalla Diaz a Bolzaneto, dagli scontri nelle piazze ai singoli capi di imputazione per alcuni manifestanti. Lo abbiamo fatto con un gruppo di legali, circa una dozzina, una “segreteria legale” che ha svolto un lavoro tecnico sulle carte, le prove e i documenti e la rete “supporto legale” che si è occupata della raccolta fondi per le spese processuali anche con iniziative editoriali come il libro a fumetti “Nessun rimorso”.

Oltre alla sentenza sulla Diaz, il processo ai 25 manifestanti, accusati di un reato gravissimo come “devastazione e saccheggio” è stata l’altra faccia dell’epilogo di quelle giornate.

In verità quel processo, cominciato l’anno dopo il G8 aveva portato a una quarantina di identificazioni, 23 persone vennero arrestate il 4 dicembre del 2002. La tesi della Procura era quella di dimostrare come vi fosse un unico disegno in cui i “disobbedienti”, che partendo dallo Stadio Carlini scesero in Via Tolemaide, avessero approfittato dei disordini creati dal cosiddetto “blocco nero” e fossero, quindi, colpevoli di concorso nella devastazione.

Si spieghi meglio…

Dei 25 imputati che arrivarono al dibattimento, nel 2009 dopo la sentenza di condanna di primo grado, solo 10 verranno condannati, gli altri 15 verranno prosciolti, sia per l’intervento della prescrizione, sia perché la carica dei Carabinieri in via Tolemaide fu valutata come illegittima e quindi la reazione è stata considerata una forma di legittima difesa. Questo è il punto più rilevante che apre molti scenari. Nella commissione parlamentare che fu istituita nel 2006 l’allora Questore di Genova, Francesco Colucci, dichiarò che la prima carica sui manifestanti si rese necessaria perché quel “corteo non era propriamente autorizzato ed aveva immediatamente attaccato le forze di polizia”. Un’affermazione che non si rivelò veritiera, pronunciata dentro un’aula parlamentare, e che il processo ha definitivamente smontato, dimostrando che il corteo dei disobbedienti venne caricato, senza motivo, da un reparto dei Carabinieri. Nella sentenza di secondo grado i giudici scrivono, nero su bianco, che “l’ordine pubblico fu turbato in conseguenza della carica dei Carabinieri, illegittima ed arbitraria, ma senza che gli atti posti in essere dai partecipanti al corteo integrassero gli elementi costituitivi del reato”.

Quelle motivazioni dimostrano quindi, non solo la sproporzione dell’accusa ma, anche, la genesi di quello che avvenne intorno a Via Tolemaide e quindi in Piazza Alimonda. Una verità che, ancora oggi, si fatica a raccontare.

Certamente. Ed è invece giusto ricordarla perché quello è uno snodo decisivo che è costato un lungo processo, con oltre che 140 udienze in tre anni, la visione di oltre 4 mila video e l’ascolto di migliaia di ore di conversazioni dei registrati della Questura.

Però, di quei primi 40 imputanti dieci, alla fine, sono stati condannati.

Dei 10 condannati, 5 hanno scontato una pena detentiva, a quattro sono state riconosciute le attenuanti di pena e uno è, attualmente, ancora in Francia e su di lui pende una richiesta di estradizione.