Si stringe ogni giorno di più il cerchio contro il Partito dei Lavoratori. E il colpo più grave arriva puntuale proprio al termine della carovana di Lula per gli Stati del Nordest, il maggior successo politico dell’ex presidente negli ultimi anni.

Il procuratore generale della Repubblica Rodrigo Janot ha incriminato formalmente Lula e Dilma Rousseff per associazione illecita (reato punibile con una pena da 3 a 8 anni di prigione) nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato.

E con loro gli ex-ministri Antonio Palocci, Guido Mantega, Edinho Silva e Paulo Bernardo, la senatrice Gleisi Hoffmann e l’ex tesoriere João Vaccari Neto.

Tutti sospettati di «promuovere, costituire, finanziare o integrare», tra il 2002 e il 2016, «un’organizzazione criminale» di cui il Pt avrebbe fatto parte, insieme, tra gli altri, al Pmdb e al Pp.

Uno schema che avrebbe permesso agli accusati di ricevere, nel complesso, 475 milioni di dollari di tangenti, «utilizzando enti pubblici come la Petrobras, la Banca nazionale per lo Sviluppo e il ministero della Pianificazione».

Di «denuncia senza fondamento» parlano tutti gli accusati, evidenziando come la Procura generale non abbia fornito alcuna prova, basandosi essenzialmente sull’uso della delação premiada, la collaborazione con i magistrati in cambio di uno sconto di pena, la cui estrema inaffidabilità è venuta più volte alla luce.

Come nel caso recente del proscioglimento di Lula dall’accusa di ostruzione alla giustizia, dopo il riconoscimento da parte della procura federale che il principale teste d’accusa, l’ex senatore Delcidio Amaral, aveva mentito riguardo all’accordo tra l’ex presidente e l’imprenditore André Esteves per comprare il silenzio dell’ex direttore della Petrobras Nestor Cerveró sulle presunte tangenti per cui Lula è accusato.

Che il Pt abbia riprodotto le pratiche di corruzione da sempre vigenti nello Stato brasiliano, rinunciando a uno dei suoi principali simboli identitari, quello dell’etica in politica, non esistono molti dubbi, ma che contro il Partito dei lavoratori in particolare – pur senza risparmiare ormai alcuna forza politica – si sia scatenata l’offensiva di quella che non a caso è stata definita come «Repubblica giudiziario-mediatica» ve ne sono ancora meno.

Più che una crociata moralizzatrice contro i corrotti, insomma, la Lava Jato assomiglia sempre di più a una campagna diretta a ottenere, bypassando il dibattito democratico, obiettivi politici.

È su questo sfondo che deve leggersi  tanto la disputa tra Rodrigo Janot, principale protagonista dell’inchiesta, e Gilmar Mendes, il ministro più influente del Supremo Tribunale Federale – giunto più volte a criticare l’operazione in funzione di un salvataggio della classe politica -, quanto l’alleanza tra la Globo e la Procura generale, diretta alla costruzione di un «governo libero da politici»: la soluzione più avanzata in tempi di dittatura del capitale finanziario transnazionale.