I tamburi di guerra hanno riecheggiato un po’ ovunque durante il secondo giorno della visita di Joe Biden in Israele. Non solo in Medio oriente. La Russia ad esempio, con tono deciso, ieri ha detto di aspettarsi che Israele «agisca in modo saggio e corretto» se gli Usa dovessero chiedergli di inviare armi all’Ucraina. Poco prima il presidente americano e il premier israeliano Lapid avevano firmato la Dichiarazione di Gerusalemme, in cui si afferma che Stati uniti e Stato ebraico sono preoccupati «per gli attacchi in corso contro l’Ucraina» e si ribadisce l’impegno «per la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina». Toni da guerra ha usato ieri anche l’Iran, pronto, afferma, a dare una «dura risposta» agli Stati uniti e a Israele se «metteranno a rischio la sicurezza della regione». Parole pronunciate dal presidente Ebrahim Raisi in un discorso alla televisione pubblica iraniana. Prima dei suoi ammonimenti, il leader di Hezbollah (alleato di Teheran), Hassan Nasrallah, da Beirut aveva sostenuto che la crisi economica e finanziaria che devasta il Libano sarebbe causata anche delle politiche israeliane, specie nello sfruttamento dei giacimenti di gas naturale situati nelle acque contese tra i due paesi. Ha quindi avvertito che la guerra potrebbe essere l’unica strada percorribile per i libanesi.

A mettere in allarme Teheran è stato l’impegno degli Stati uniti, sottoscritto da Biden e Lapid nella Dichiarazione di Gerusalemme, «a non permettere mai all’Iran di acquisire l’arma nucleare» e di «essere preparati ad usare tutti gli elementi del suo potere nazionale per assicurare questo obiettivo». È la stretta partnership strategica che Israele cercava per colpire militarmente l’Iran anche se non ha la bomba atomica: a scatenare un attacco, anche congiunto se necessario, basterà solo un’intenzione dell’Iran di dotarsi di ordigni nucleari (che da parte sua nega di puntare all’arma di distruzione di massa). È la realizzazione della «dottrina Netanyahu», l’ex premier israeliano. Ribadita ieri dallo stesso Netanyahu, probabile vincitore delle elezioni israeliane del 1 novembre. «Senza una opzione militare credibile, non è possibile fermare l’Iran», ha detto Netanyahu incontrando, da capo dell’opposizione, il presidente americano. «Di fronte all’Iran – ha poi spiegato alla stampa – non bastano le sanzioni economiche e nemmeno un assetto militare di carattere difensivo. C’è piuttosto bisogno di una opzione militare offensiva credibile. Se poi questa opzione non avrà effetto deterrente, allora bisognerà attivarla. Questo è quanto farò – ha promesso – se e quando tornerò nell’ufficio del primo ministro». Poco prima era stato il premier Lapid a lanciare lo stesso avvertimento: «Occorre sul tavolo una minaccia militare credibile». «L’Iran – ha continuato – non è solo una minaccia per Israele ma per il mondo intero». Biden ha ripetuto che la diplomazia resta lo strumento preferito ma intanto la sua Amministrazione si prepara ad estendere il Memorandum of Understanding (MOU) da 38 miliardi di dollari, firmato nel 2016 sotto l’amministrazione Obama (Biden era vicepresidente), per dare maggior sostegno, con fondi del contribuente americano, alle forze armate israeliane (che da tempo si addestrano, e non lo nascondono, a un attacco all’Iran). Biden e Lapid ieri hanno anche avuto un incontro virtuale con il presidente degli Emirati, Mohamed bin Zayed – firmatario degli Accordi di Abramo per la normalizzazione dei rapporti tra paesi arabi e Israele, esaltati nella Dichiarazione di Gerusalemme – e il primo ministro indiano Narendra Modi. Si tratta del nuovo forum di paesi che la Casa Bianca ha etichettato I2U2 e che consentirà agli alleati degli Usa di lavorare insieme sui temi economici. In realtà si tratta della formalizzazione di un’altra alleanza strategica tra paesi che già da tempo cooperano nella sicurezza e il militare.

La questione palestinese non è stata inclusa nei punti principali della Dichiarazione di Gerusalemme. Biden e Lapid, con toni diversi, si sono espressi a favore della soluzione a Due Stati (Israele e Palestina). Ma è il solito rituale che dagli Accordi di Oslo di 29 anni fa non ha mai prodotto nulla di serio. Di concreto c’è che il presidente palestinese Abu Mazen e Biden rilasceranno dichiarazioni separate oggi dopo l’incontro che avranno a Betlemme. Le due parti sono così lontane che non sono state in grado di concordare una dichiarazione congiunta. Gli Usa non andranno oltre qualche aiuto economico ai palestinesi. A Betlemme sono apparsi cartelloni con la scritta «Mr. President, questa è l’apartheid» e nella città e a Ramallah oggi si terranno manifestazioni con bandiere nere e foto della giornalista Shireen Abu Akleh uccisa l’11 maggio durante un blitz a Jenin di reparti militari israeliani.