«L’inquinamento è la più grande causa ambientale della malattia e della morte prematura nel mondo di oggi. Le malattie causate dall’inquinamento sono state responsabili di circa 9 milioni di morti premature nel 2015 – il 16% di tutti i decessi nel mondo – pari a tre volte il numero di morti dovute all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria messe insieme, e a 15 volte quelle provocate da tutte le guerre e altre forme di violenza. Nei Paesi più gravemente colpiti – quelli a basso e medio reddito, dove si colloca il 92% di questi eventi fatali – le malattie correlate all’inquinamento sono responsabili di più di una morte su quattro».

Non è il solito allarmismo sociale molto in voga di questi tempi, ma quanto riportato dalla rivista scientifica Lancet nell’introduzione della lunga e accurata ricerca condotta dalla «Lancet Commission on pollution and health» composta da 47 scienziati di tutto il mondo.

La natura dell’inquinamento, spiegano gli esperti, «sta cambiando e, in molti luoghi del mondo, sta peggiorando», soprattutto nei Paesi in rapida industrializzazione come India, Pakistan, Cina, Bangladesh, Madagascar e Kenya.

Le cause si possono rintracciare nell’aumento del consumo energetico di fonti fossili e dell’uso di veicoli alimentati a petrolio, nella crescita delle estrazioni, dell’utilizzo di nuovi materiali e tecnologie, nell’abuso di erbicidi e pesticidi, e a causa del movimento globale delle popolazioni dalle aree rurali alle città, che si espandono incontrollatamente.

È l’inquinamento dell’aria quello che provoca la maggior parte di morti (nel 2015, 6,5 milioni in tutto il mondo), seguito da quello dell’acqua (1,8 milioni), nei posti di lavoro (800 mila) e dovuto al piombo (500 mila).

Naturalmente, la contaminazione di aria, acqua e suolo ha dei costi enormi, non sono in termini di vite umane: il Pil dei Paesi a basso e medio reddito si riduce del 2% l’anno a causa della perdita di produttività, mentre aumentano fino al 7% i costi sanitari (1,7% nei Paesi ad alto reddito). «La perdita di benessere derivante dall’inquinamento è stimata sui 4600 miliardi di dollari all’anno: 6,2% della produzione economica mondiale», scrive Lancet, sottolineando che i costi tendono ad aumentare man mano che si scoprono ulteriori correlazioni tra patologie e smog.

Viceversa, i «notevoli benefici economici», oltre che sociali, dell’abbattimento degli inquinanti sono evidenti per esempio negli Stati Uniti, dove – prima di Trump – «per ogni dollaro investito nel controllo dell’inquinamento atmosferico dal 1970, se ne sono guadagnati circa 30, con un vantaggio complessivo di 1500 miliardi di dollari contro un investimento di 65 miliardi di dollari».

Allo stesso modo, si legge ancora nel report, «la rimozione del piombo dalla benzina ha restituito alle economie americane circa 200 miliardi di dollari (da 110 a 300 miliardi) ogni anno a partire dal 1980, con un vantaggio complessivo di oltre 6 mila miliardi di dollari attraverso l’aumento della funzione cognitiva e una maggiore produttività di generazioni di bambini esposti fin dalla nascita solo a basse quantità di piombo».

Ecco perché nelle sei raccomandazioni finali della Lancet Commission al primo posto c’è il monito rivolto ai governi di tutto il mondo e alle amministrazioni di ogni livello di mettere in cima ai propri programmi il controllo dell’inquinamento. Che, appunto, deve essere affrontato a livello globale. Motivo per il quale sia i finanziamenti che il «supporto tecnico internazionale» vanno «mobilitati, aumentati e concentrati», così come vanno costruiti «partenariati tra diverse agenzie governative, e tra governi e settore privato».

Gli scienziati invitano poi a fare ricorso alle tecnologie più innovative per raccogliere dati sull’inquinamento, ad «integrare la riduzione dello smog nel piano d’azione globale per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili», e infine a finanziare e promuovere la ricerca nel campo degli agenti inquinanti e della correlazione con le malattie.

La rotta è tracciata, non è una via semplice ma non si può far altro che iniziare a percorrerla.

Enea, una banca dati sui danni alla salute in Italia

L’inquinamento atmosferico accorcia la vita di ciascun italiano in media di 10 mesi: 14 per chi vive al nord; 6,6 per chi vive al centro e 5,7 per i cittadini del sud e delle isole. «Ma i valori di mortalità più elevati al settentrione vanno letti alla luce della maggiore disponibilità di dati rispetto al resto d’Italia».

Lo dice Carmela Marino, responsabile della divisione Enea Tecnologie e metodologie per la salvaguardia della salute dell’uomo.

I dati sono il risultato degli studi condotti dall’Agenzia che ha realizzato una mappa degli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute: la prima banca dati italiana in grado di fornire informazioni sulla mortalità per età, sesso e patologia anche a livello di singolo comune.