La montagna è spaccata, una lunga ferita nella roccia taglia il Vettore e mostra quanto le ultime scosse stiano cambiando i connotati alla zona intorno agli Appennini. I geologi stimano che la scossa delle 7 e 41 di domenica mattina abbia abbassato il monte di quasi 70 centrimetri. Nel maceratese si registrano altri fenomeni del genere: dalle gole della Valnerina si sarebbero staccati tra i 30 e i 40mila metri cubi di roccia, per lo più caduti sulle strade, rendendole di fatto impraticabili. Una profonda spaccatura è stata segnalata anche sul monte Porche, nei pressi di Castelsantangelo.

Frattura anche sul colle di Recanati, quello dell’Infinito di Giacomo Leopardi. Per il sindaco del paese, Francesco Fiordomo, si tratta di «una ferita nell’anima dell’Italia»: là dove il poeta riusciva a vedere oltre tutto quanto fino a sfiorare il senso intero dell’esistenza, il terremoto ha colpito forte. «La fessura – ha detto Fiordomo – ha messo in evidenza come lo scivolamento a valle, provocato da una grave debolezza idrogeologica, ha provocato danni forse irreversibili». Un colpo duro a un territorio che, tra le altre cose, vive anche di turismo grazie a un considerevole patrimonio culturale. Adesso delle chiese che avevano resistito per secoli non resta che qualche calcinaccio, stesso discorso anche per i palazzi nei centri storici: mura cadute, facciate sventrate, balconi crollati. Il terremoto ha messo in ginocchio un intero sistema, andando a colpirlo là dove fa più male: nella sua bellezza e nei suoi paesaggi che si volevano scolpiti nel tempo ma non avevano fatto i conti con quello che si muove sotto terra. A Visso era conservata proprio una copia autografa dell’Infinito, e i sindaci di tutti i paesi del maceratese stavano pensando di fare le cose in grande per il 2019, quando cadrà il bicentenario dell’idillio. Adesso tutto torna in discussione, anche perché con ogni probabilità tra due anni i lavori di ricostruzione saranno ancora in corso. Fiordomo, ad ogni buon conto, non si perde d’animo: «Ripartiremo dalla cultura e dal turismo, è l’unica possibilità che abbiamo in questo territorio». Da domenica mattina a ieri sera, l’Ingv ha dato notizia di almeno altre 700 repliche sismiche, tutte nella zona al confine tra l’Umbria e le Marche. Nello specifico: le scosse tra i 4 e i 6 gradi sono state 18, quelle tra i 3 e i 4 addirittura 301, mentre quelle inferiori a 3 (inavvertibili, in condizioni normali) 403. Per il sismologo Salvatore Mazza si tratta di una sorta di effetto domino «dovuto allo sforzo che si redistribuisce sulle varie faglie e che può indurre movimenti anche successivi alla prima scossa». L’esempio è quello del «gessetto che si rompe in tanti piccoli pezzi, che sono vari segmenti dello stesso pezzo», e si tratterebbe comunque di una conseguenza della sequenza cominciata il 24 agosto scorso nel reatino.

La forza del terremoto di domenica mattina – 6.5 gradi sulla scala Richter – è stata la più forte registrata in Italia dall’Irpinia (1980), con un totale di 280mila sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti. In Friuli (1976) la furia distruttrice si fermò a quota 6.4 gradi. Nel 2009 a L’Aquila la magnitudo registrata fu del 5.8, mentre nel 1997, ancora tra le Marche e l’Umbria, si toccarono i 6.1 gradi, come nel 1968 nel Belice. Il fatto che quello di domenica sia stato il sisma con magnitudo più alta rispetto alla sequenza di questi due mesi, spiega Alberto Michelini dell’Ingv, «non ha un significato preciso, non c’è una norma, anche se sappiamo che in passato in Italia sono già avvenute cose simili. Bisogna sempre stare allerta».