Sí, se puede. A sorpresa, ieri all’ora di pranzo il leader socialista Pedro Sánchez e quello di Podemos Pablo Iglesias si sono presentati davanti alla stampa annunciando che c’era un accordo di governo. Strette di mano, abbracci, e firma. Quello che non è stato possibile in mesi di negoziati dopo il voto di aprile, è stato siglato in meno di 48 ore, sotto la pressione del milione di voti ottenuti da Vox e con la consapevolezza che gli elettori non avrebbero dato loro una terza opportunità. Finalmente, trattative discrete e accordo generale prima di scendere nei dettagli “personali”. Insomma, un negoziato vero, di chi vuole arrivare a un accordo, e non di chi fa teatro.

È la prima volta che la Spagna sarà governata da una coalizione di partiti: vedremo come reagirà il sistema politico. L’unico dettaglio trapelato è che Iglesias stavolta occuperà una vicepresidenza: sembra che per Sánchez non sia più un problema, anche con un Podemos indebolito. Pragmatismo, finalmente.

DIECI PUNTI, o «assi prioritarie di azione del governo progressista», costituiscono il “preaccordo” che i due leader hanno firmato ieri e che in buona parte si basano sul testo del budget concordato a inizio anno fra le due forze e che non venne mai approvato. Stavolta sono stati esclusi dai negoziati la vicepresidente spagnola Carmen Calvo per i socialisti e Pablo Echenique per Podemos, due personalità certamente troppo spigolose per facilitare la ricerca di consensi, e sono stati i due leader a trattare direttamente. Per ora senza dettagli, l’accordo parla fra l’altro di creazione di posti di lavoro e lotta alla precarietà, di proteggere i servizi pubblici come educazione, sanità e servizi sociali, salvaguardare le pensioni, di diritto alla casa e di scienza. Parla di regolamentare le case da gioco, rafforzare le Pmi, di lotta contro il cambio climatico e di transizione ecologica; di approvare una legge per la morte degna e per l’eutanasia; di garantire che la cultura sia un diritto e di promozione dello sport.

Un punto a parte è dedicato alle politiche femministe e contro la violenza machista, ai permessi di paternità uguali a quelli di maternità e non trasferibili. L’ottavo punto è dedicato alla cosiddetta «Spagna vuota», tutte le zone dell’interno della Spagna sempre più spopolate, mentre la Catalogna occupa il nono posto: si parla di garantire la convivenza, ma appare la parolina magica «dialogo», anche se «dentro la Costituzione». Come si concretizzeranno queste parole sarà fondamentale per capire se davvero il governo ha cambiato musica nell’affrontare questo problema. Infine nell’ultimo punto un segnale per Bruxelles: «equilibrio di bilancio» appare scritto ben chiaro, associato alla «giustizia fiscale».

ORA IL PRINCIPALE OSTACOLO è quello di superare le forche caudine del parlamento. Scartata la speranza di arrivare alla maggioranza assoluta dei 176, si lavora perché la seconda sessione, quella in cui basteranno più sì che no, funzioni subito. C’è tempo fino al 4 dicembre, data probabile della prima seduta delle Corti, che dovranno prima eleggere i nuovi presidenti e gli uffici di presidenza. La sessione di investitura, dopo le consultazioni del re, potrebbe avvenire la settimana del 16 dicembre.

SCONTATI I NO DELLA DESTRA: il Pp ieri, superata la sorpresa per l’inaspettato accordo, ha reso pubblica l’indignazione per non essere stati neppure contattati da Sánchez. La loro speranza era di poter sbloccare una nuova situazione di stallo chiedendo in cambio contropartite pesanti. Quel che resta di Ciudadanos, come la presidente in pectore Inés Arrimadas, ha chiesto a Sánchez di «correggersi» e di rinunciare all’accordo con i viola, mentre Vox non ha risparmiato iperboli, parlando di un Psoe che «abbraccia il comunismo bolivariano», nel bel mezzo di «un colpo di stato» (riferendosi alla Catalogna).

OLTRE AL SILENZIO TATTICO dei nazionalisti baschi del Pnv, l’attenzione si concentra ora sul partito indipendentista catalano di sinistra Esquerra republicana. La Cup e Junts per Cat hanno già anticipato il voto contrario, dunque tutta la pressione sarà sui 13 deputati guidati da Gabriel Rufián. Che prevedibilmente pur non volendo prendersi la responsabilità di affossare il governo venderà cara l’astensione: per cominciare, esigendo che venga riconosciuto dal nuovo governo che in Catalogna c’è un «problema politico». Per ora dicono che la posizione è un No. Ma è probabile che prima di dicembre le cose vadano appianandosi. Sempre che la situazione in Catalogna non degeneri.