L’indagine dell’Fbi sui flussi di denaro tra Castelvolturno (Caserta) e gli Stati Uniti per il traffico di organi di ragazze che, dopo lo sfruttamento sessuale da parte della mafia nigeriana diventano vittime di espianto, lascia sbigottiti. Si apre così in Campania un capitolo che fino ad oggi nessuna donna fuggita dal racket aveva mai denunciato. La recrudescenza del traffico di ragazze dall’Africa e dall’est Europa verso l’Italia ha anche portato a Napoli giorni fa la Commissione del Parlamento Europeo sui Diritti delle Donne, che ha incontrato tra gli altri la rete del progetto «Fuoritratta»: Dedalus, Arci, cooperativa Eva e suore di Casa Ruth.

L’ITALIA, CHE HA IL PRIMATO storico di aver strutturato un sistema antitratta nazionale basato su percorsi di riconoscimento delle vittime di tratta e schiavitù, oggi scivola sulla criminalizzazione delle donne a vantaggio delle mafie internazionali e locali che hanno trovato nuovi metodi di vessazione e sfruttamento, più sofisticati e remunerativi.
La nuova legge sulla sicurezza ed i sempre più invasivi daspo urbani spingono le ragazze dalle strade alle case chiuse.

Appartamenti, a volte alberghi, talora gestiti dai medesimi personaggi legati ai Cas – Centri di accoglienza straordinaria che le norme di Salvini hanno lasciato indenni a scapito dell’accoglienza di qualità di Comuni e terzo settore – dove si consumano spesso prestazioni violente. L’assoggettamento delle vittime è maggiore ed il guadagno cresce. Qui le unità mobili degli operatori di strada non possono arrivare. E allora cambia il modo di lavorare, con appostamenti da spy stories fuori dai Cas e dagli hotel.

LO SCORSO ANNO, nel sistema italiano antitratta sono state accolte più di 1800 donne. Nigeriane, rumene, marocchine. Oggi sulle strade interne tra i tempi di Paestum e la reggia di Caserta è possibile incontrare donne albanesi e coreane, trafficate in Italia attraverso la Russia. Un nuovo segmento di business appetibile per quelli che non vogliono la pelle nera e sono disponibili a pagare di più. Cambiano i gusti e cambia l’offerta del mercato. Ciò non ha bloccato però la tratta africana. Semplicemente per pagare il debito, le ragazze nigeriane devono lavorare molto di più. Con il costo delle prestazioni sceso anche sotto i dieci euro, un riscatto che oscilla tra i 35mila ed i 60mila euro significa anni di schiavitù.

Una madre con bambino in casa protetta, con assistenza sanitaria, legale, formazione linguistica, scolastica ed inserimento lavorativo costa allo Stato circa 15 mila euro. Poi ci vuole il tempo. Un percorso reale fino all’autonomia ha bisogno di almeno due anni. I permessi di soggiorno per vittime di tratta però sono molto più brevi, ed offrono quindi poche garanzie alle donne che intraprendono queste scelte, e che rischiano la vita propria e dei parenti a casa.

ASSISTIAMO ALLE TELEFONATE di ricatto, agli avvertimenti mafiosi sull’incolumità di madri e figli. Una garanzia maggiore da parte dello Stato con permessi speciali più lunghi permetterebbe di lavorare meglio. Far perdere le tracce dei bambini lasciati in Nigeria, trasferendoli presso ong di circuiti sicuri, creare le condizioni per l’autosostentamento delle donne, accompagnare i ricongiungimenti familiari, non si fa in un anno.

Lo Stato ci guadagna in legalità e sicurezza: 50 mila euro in media sottratti alle mafie internazionali, altrimenti reinvestiti in droga ed armi, per ogni vittima fuggita; tutela della salute pubblica rispetto alle malattie sessualmente trasmissibili che i clienti diffondono nelle loro ignare famiglie; una spallata alla camorra che affitta camere e prende il pizzo sulle piazzole ai bordi delle strade, che secondo l’Arci fruttano almeno 300 mila euro al mese.

È un’intera terra di mezzo quella che gira attorno all’economia degradata dello sfruttamento. Aguzzini e vittime talvolta possono confondersi, trasformarsi indossando gli uni i panni degli altri, perdersi o addirittura liberarsi a vicenda. È «Il vizio della speranza», evocato da Edoardo De Angelis, che nel suo portato allegorico e fantastico non tradisce il racconto verosimile di un mondo sommerso che può emergere solo attraverso una cultura che emancipi dallo sfruttamento, prostituzione e lavoro, dando dignità al territorio abusato, non solo dai rifiuti delle discariche e dell’umanità violentata, ma dalla retorica del decoro e della sicurezza, che spinge ancora di più ai margini.

Una conseguenza è che trovare oggi chi è disponibile ad affittare casa a donne e richiedenti asilo, nonostante un mercato immobiliare sempre più depresso, è difficilissimo. Ogni donna trafficata porta un progetto migratorio, un’ambizione di emancipazione che vessazioni e violenze non riescono a spegnere mai completamente. Vanno allora rilanciate le politiche di riduzione del danno, i servizi a bassa soglia e le misure di sostegno al reddito contro le povertà, per tutti. La lotta alle mafie si fa scommettendo sulle persone e sui diritti. Discriminare, è il miglior modo di favorirle.

* Presidenza nazionale Arci