L’editoriale di Norma Rangeri, pubblicato su questo giornale il 31 luglio, evoca fin dal titolo la necessità di un fronte capace di inglobare da Calenda a Fratoianni, inclusi Di Maio, Letta e Conte, come unica possibilità per impedire il «cappotto» e bloccare così la possibilità che le destre possano manomettere la Costituzione. Ma perché perorare in questo modo e proprio ora un’ipotesi che è di pura scuola?

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Un fronte siffatto richiede condizioni reali e rapporti di forza che ora sono totalmente assenti: quel poco che è rimasto del «campo largo» a guida Pd si è trasformato in un cartello elettorale, i veti incrociati impediscono la convergenza.

L’ipotesi, quindi, è astratta e non considera ciò che è sotto gli occhi di tutti: il richiamo all’antifascismo ha un puro valore comunicativo, ma nessuno lavora davvero per realizzarne le condizioni.

Perché richiamare qui e ora un’ipotesi di puro spirito avulsa dagli interessi e dalle scelte che stanno andando in direzione opposta? Perché, invece, non analizzare con piglio critico e analitico come siamo giunti a questo punto?

Se qui siamo è perché sono decenni che l’appello al voto utile è diventato il mantra del centro-sinistra. Prima contro Berlusconi e il suo «conflitto di interessi», poi contro la Lega, per poi avere il Presidente della regione Emilia-Romagna lavorare fianco a fianco a Zaia per l’autonomia differenziata e contro la coesione nazionale.

Con elezioni convocate precipitosamente e una sinistra frammentata non è credibile richiamare il voto utile come se nulla fosse successo in questi decenni. Un’analisi siffatta dovrebbe fondarsi su una sinistra protagonista che, forte di un capitale politico autonomo e di una proposta articolata su alcuni punti chiave, potrebbe contribuire a spostare il baricentro del sistema politico, come in Spagna, o unire, come in Francia.

Se il prossimo 28 ottobre, centenario della marcia su Roma di Mussolini e dei suoi squadristi, ci troveremo al governo gli eredi diretti di quel movimento, quei «Fratelli d’Italia» post-fascisti, non sarà per via di quell’ «eterno fascismo» di cui alcuni hanno parlato e contro cui l’editoriale di Norma Rangeri richiama un fronte politico unito. Perché il fascismo in Italia non è eterno: semplicemente non è mai morto. Perché il nostro paese non ha mai fatto i conti con il suo passato, che già a suo tempo non fu capace di chiudere con il regime deposto, perché troppi vi avevano trovato una collocazione accettabile e troppi vi erano compromessi.

Se per cinquant’anni la destra fu relegata nell’angolo, il fascismo vi rimase imbricato, mentre il conservatorismo democristiano sapeva chiamare a sé, pur con qualche ammiccamento, le tendenze del corpo sociale più retrive.

Con il signor B., è storia nota, queste vennero «sdoganate», mentre anche a sinistra si celebrava il nuovo mondo post-ideologico della democrazia «compiuta». Anche il conservatorismo contemporaneo, in Italia come in molte democrazie, aveva perso il polso. E però, di fronte all’evidenza che il capitalismo globalizzato non può che favorire élite ristrette, emarginando tanto le classi popolari che i ceti medi proletarizzati, ha capito che coltivando una prospettiva nazionalista («sovranista») e accarezzando quella autoritaria, può farsi, spregiudicatamente, paladino degli esclusi (mettendo i poveri gli uni contro gli altri) in nome della prosperità perduta.

Le classi popolari non guardano più a sinistra? A destra trovano il conforto della promessa di protezione, forte con i deboli e debole con i forti, mentre nel centro-sinistra si parla di «diritti», di «giovani» e di «donne».

I conservatori non si turano più il naso: ben vengano i red-neck degli hinterland, i coatti delle periferie, i «perdenti della globalizzazione» delle aree marginalizzate, se ci faranno restare al potere. Una destra «forte», che unisce una politica identitaria e classista, concessioni all’evasione fiscale e protezionismi. Con buona pace del centro-sinistra, oggi a difesa dei ceti medi, senza più le perdute classi popolari e bloccato dai veti incrociati.

Se il «populismo» del M5S aveva attratto larghe masse disilluse dalla sinistra, la prossima tornata elettorale vedrà l’epilogo di tale spostamento sotterraneo: una destra che «attrae» anche quei ceti popolari che non credono più alle prospettive riformiste e un centro-sinistra che può solo contare sull’astensione per non trovarsi di fronte al «cappotto».