Da giorni gli alunni dell’Istituto Cotugno di L’Aquila – che comprende classico, linguistico e scienze umane per un totale di 1200 studenti – si rifiutano di tornare a scuola.

Sciopero molto particolare il loro, perché legato alla preoccupazione di non sentirsi al sicuro sui banchi dopo le quattro forti scosse di terremoto di mercoledì scorso 18 gennaio, che hanno toccato magnitudo 5.5 e hanno fatto riversare nuovamente L’Aquila per strada, stavolta in mezzo alla neve.

Da allora la situazione stenta a normalizzarsi in città, circa 2mila persone hanno dormito per tutta la settimana nei ricoveri offerti dal Comune nei Musp, le scuole «temporanee» in moduli di lamiera sorte dopo il sisma del 2009, dove lunedì però sono ripartite le lezioni. In realtà a centinaia dormono ufficiosamente ancora fuori casa, ospiti di amici in abitazioni reputate più sicure. Dopo il sisma del 6 aprile, la «ricostruzione» non è tutta uguale e il coefficiente di adeguamento sismico cambia a seconda dei danni e degli interventi svolti. Se i danni sono parziali, le legge non prevede l’adeguamento al 100% ma solo il «miglioramento sismico». Diversa invece la situazione in caso di demolizione e totale rifacimento.

IMG_7639 copia

 

Ma l’attenzione della cittadinanza ora è rivolta in primis all’edilizia pubblica, a partire dalle scuole, tutte chiuse fino allo scorso sabato. Domenica i genitori di più istituti si sono autoconvocati per analizzare insieme la situazione e decidere il da farsi. Quelli del Cotugno erano i soli ad avere in mano, tramite un accesso agli atti, lo studio di vulnerabilità sismica dell’edificio svolto dalla provincia (proprietaria dello stabile) nel 2013, che rileva come per la maggior parte della struttura l’indice di vulnerabilità sismica (che indica la tenuta sismica) sia pari al 26%. Davvero troppo poco.

La scuola è comunque definita «agibile». Il Presidente della provincia Antonio De Laurentis ribadisce che «non è a rischio crollo» e fa sapere che «la Protezione civile della Regione Abruzzo avvierà nuove verifiche». Per adeguare la scuola al 100% servono però 9 milioni che la Provincia non ha e che si andrebbero ad aggiungere agli altri 3 che la Protezione civile spese per riparare i danni subiti nel terremoto del 2009.

Il problema ovviamente non è solo al Cotugno, che ha il merito di aver fatto scoppiare il caso, costringendo le istituzioni a dare risposte celeri a tutti. Molti altri edifici pubblici sono nelle stesse condizioni e fanno traballare il modello L’Aquila caro al sindaco Massimo Cialente, che ha più volte parlato del capoluogo abruzzese come della città attualmente più sicura d’Italia.
IERI, in una concitata riunione con i primi cittadini dell’Aquilano (nell’Alto Aterno, come pure nel teramano, le scuole sono ancora chiuse), provincia e regione, il governatore Luciano D’Alfonso ha detto che troverà i soldi per l’adeguamento sismico. Le scuole resteranno aperte, ma la provincia invierà alla regione gli studi in suo possesso sulla sicurezza sismica.

Il problema resta il presente. È giusto mandare a scuola i ragazzi in queste condizioni? Gli studenti si sentono «traditi», «costretti a crescere più in fretta dei loro coetanei», sfiduciati verso le istituzioni dei «grandi» che con le responsabilità «fanno a scaricabarile». Fuori dalla scuola parlano di una «lotta per la sopravvivenza contro uno Stato distratto ed enti pubblici che negano il diritto a studio e incolumità».

Sulla stessa linea i professori, che dopo il suono della campanella si uniscono alla protesta: «Vogliamo una nuova sospensione delle attività per trovare una soluzione alternativa momentanea e fare altre verifiche, per decidere di rientrare serenamente o fare un miglioramento sismico e di conseguenza, se necessario, rimanere fuori ancora più a lungo», dice la professoressa d’Italiano Loretta Bonifaci.

«Vogliamo che tutti gli indici di vulnerabilità siano resi pubblici – continua – perché non possiamo mettere la testa sotto la sabbia. Personalmente mi sento come se fosse il 5 aprile 2009, quando ci dicevano che la struttura dove ci trovavamo allora era sicura, cosa che non fu. È probabile che la struttura dove ci troviamo ora sia migliore, ma un lavoro serio di ricognizione e di verifica va fatto una volta per tutte, come si fa in Giappone e in California».

Nella serata di ieri anche la preside dell’Istituto Cotugno ha preso posizione, inviando una lettera protocollata al sindaco in cui chiede la chiusura dell’ immobile «poiché lo stesso non è idoneo a supportare i carichi verticali che attualmente insistono sulla struttura».