Sul manifesto firmato da Lorenzo Mattotti ci sono due trapezisti che volteggiano – da un frammento della sigla del 2019 – un’immagine che Alberto Barbera ha definito «emblematica» per questa edizione: «Il cuore della Mostra è salvo anche se in scala ridotta. Abbiamo rinviato la sezione Sconfini, salvato Venezia classici grazie alla collaborazione con il Cinema Ritrovato di Bologna, ridotto anche se di poco il numero dei film, la presenza italiana è analoga allo scorso anno e di grande qualità. Non è però un festival autarchico, vi sono rappresentati 50 Paesi del mondo…». Eccola dunque la Mostra di Venezia numero 77, presentata in streaming dal direttore Alberto Barbera insieme al neopresidente Roberto Cicutto e accolta come un evento, il perché lo sappiamo: dei grandi festival cinematografici, dopo la pandemia, sarà il primo a svolgersi «dal vivo» – all’ipotesi di un «ritorno del virus» Barbera dice di non volerci nemmeno pensare.

NON È STATO FACILE, in questi mesi si è passati da un annullamento all’altro, qualche festival ha scelto la strada dell’online che però per la Mostra – come ha puntualizzato Cicutto – non è mai stato preso in considerazione. E che sia lì, che abbia svelato il suo programma, e così le altre sezioni, Giornate degli Autori e Settimana della Critica nei giorni passati, è simbolicamente molto importante per tutto il settore cinematografico, la parte produttiva – nonostante si stia tornando sui set – e specialmente la sala che la pandemia ha messo in crisi forse in una accelerazione di processi già in atto, non solo in Italia, contraendo lo spazio pubblico di visione a favore di sempre nuove piattaforme.

SAPPIAMO anche che alla Mostra si è arrivati tra le incertezze del tempo presente, perché il virus non è prevedibile, col sostegno delle istituzioni nazionali e locali e un

«City Hall di Frederick Wiseman», foto Zipporah Films

confronto internazionale – Barbera aveva inviato anche una sorta di «lettera aperta» per esplorare le opportunità di realizzazione – nei limiti posti da lavorazioni di film sospese e ritardate, con l’industria hollywoodiana più penalizzata di altre visto l’andamento dei contagi in America che impone continui rinvii nelle date di apertura delle grandi catene cinematografiche e delle uscite dei film – il caso di Tenet il nuovo film di Nolan è emblematico. Senza dimenticare la parte organizzativa alle prese con le misure di sicurezza imposte dal Covid-19, distanziamento, riduzione degli spettatori in sala, un piano per il Lido studiato in ogni dettaglio – accessi limitati all’area, controllo della temperatura, distanziamento anche per congiunti in sala, uso obbligatorio della mascherina fino all’arrivo in sala e fuori, e poi l’utilizzo di nuovi luoghi di proiezione per il pubblico come il cinema Astra al Lido e due arene, una sempre al Lido l’altra nei Giardini della Biennale, biglietti numerati che si acquisteranno solo online, riduzione dei materiali cartacei.

Ma soprattutto, senza dimenticare il cinema perché questo che vedremo dal 2 al 12 settembre al Lido – aperta da Lacci di Daniele Luchetti e chiusa da Lasciami andare di Stefano Mordini – appare, almeno come si dice «sulla carta» un’ottima selezione non un ripiego né solo una necessità, con una sua coerenza e una sua forma non stabiliti unicamente dalla necessità della pandemia ma riflesso di un lavoro sul cinema che ha saputo resistere e ha continuato a andare avanti malgrado tutto e che viene voglia di scoprire.
C’è meno Hollywood, appunto necessariamente – e c’è più «arte» – come notano i commentatori esteri, anche se sono formule un po’ sbrigative perché quello che c’è appunto nei 62 lungometraggi – e 15 cortometraggi – è il cinema.

«Laila in Haifa» di Amos Gitai

IN CORSA per il Leone d’oro della giuria presieduta da Cate Blanchett ci sono 18 titoli di cui otto di registe, una presenza importante in tutta la Mostra quella femminile – il 28,1% – dopo le molte critiche dell’anno scorso – con film scelti, come ha sottolineato Barbera, per la «qualità».
A rappresentare l’Italia ci saranno Gianfranco Rosi, già Leone d’oro per Sacro Gra, con Notturno, girato in medio oriente, tra Siria, Libano, Iraq, Kurdistan nel corso di tre anni. Bambini, cantanti di strada, una madre Yazida, un adolescente, la guerra appare attraverso le loro vite, le loro esperienze. «Ho incontrato persone che vivono in zone di guerra – scrive il regista nelle note di presentazione del film – e ho cercato di mostrare il quotidiano di coloro che abitano sul confine tra la vita e l’inferno».

SUSANNA NICCHIARELLI con Miss Marx ispirato alla figlia più piccola di Karl Marx, Eleanor, tra le prime a combattere per i diritti delle donne e l’abolizione del lavoro minorile, la cui esistenza viene travolta da una relazione impossibile. Emma Dante che porta sullo schermo il suo lavoro teatrale, Le sorelle Macaluso e Claudio Noce con PadreNostro protagonista Pierfrancesco Favino, mentre in Orizzonti – che sarà aperto da Mila di Christos Nikou – troviamo Martina Parenti e Massimo D’Anolfi con Guerra e pace, una riflessione in quattro capitoli sul rapporto tra cinema e guerra.

TRA GLI ALTRI nomi del concorso internazionale, Amos Gitai (Laila in Haifa), Kiyoshi Kurosawa (Wife of a Spy), Mona Fastvold (The World to Come), Kornel Mundruczo (Pieces of a Woman), Jasmila Zbanic (Quo Vadis, Aida?), mentre negli Orizzonti Philippe Lacote (La nuit des Rois), Listen di Ana Rocha de Sousa, Gaza mon amour di Tarzan e Arab Nasser, Genus Pan di Lav Diaz. Nelle proiezioni speciali torna sul Lido Frederick Wiseman con City Hall dedicato alla «sua» Boston, e poi Salvatore – Shoemaker of Dreams di Luca Guadagnino, ritratto di Salvatore Ferragamo, Mandibules di Quentin Duipex, Omelia contadina di Alice Rohrwacher e JR, Sportin’ Life di Abel Ferrara.