Gli effimeri entusiasmi sulla crescita del Pil nel terzo trimestre 2022 (+0,5%, 3,8% sull’anno) che si sono impadroniti dei neoliberali tecnocrati e dei sovranisti reazionari la settimana scorsa sono stati congelati ieri dalla Commissione Europa. Nelle previsioni economiche d’autunno Bruxelles ha messo nero su bianco gli effetti della policrisi capitalistica che stanno mettendo sulla graticola il governo postfascista di Giorgia Meloni.

FINITA LA STAGIONE turistica, che ha spinto la crescita del terzo trimestre grazie alla sua economia predatoria, le nuove stime hanno annunciato la recessione per l’Unione Europea e per l’Italia. Nell’ultimo trimestre di quest’anno la crescita del nostro paese dovrebbe essere negativa: -0,3%; in Germania -0,9% (dato peggiore del continente) e -0,5% nell’Eurozona. L’anno prossimo, tra gennaio e marzo la crescita sarà negativa (-0,3%) per risalire presumibilmente a un +0,1% nel secondo trimestre. Dunque, ci sarebbero due trimestri consecutivi di crescita negativa. Cioè recessione «tecnica». Il 2023 dovrebbe concludersi, ha ipotizzato la Commissione Ue, con un Pil allo 0,3%.

MA QUESTE sono stime. Grande è l’«incertezza» delle previsioni in un momento in cui una crisi porta con sé un’altra crisi. Inflazione (8,5% quest’anno, 6,1% nel 2023), speculazione sui prezzi dell’energia, catene del valore bloccate dalle politiche cinesi «zero Covid» e salari compressi anche dalle politiche recessive della Banca centrale Europea che aumenta i tassi di interesse: sono queste le concause che hanno spianato il rimbalzo tecnico registrato dopo la fase acuta della pandemia globale. In altre parole, per ora nessuna previsione è sicura. E tutto può cambiare.

IL COMMISSARIO UE all’Economia Paolo Gentiloni ha messo in chiaro un aspetto interessante per comprendere l’andamento macroeconomico del prossimo anno in Italia, ma quasi del tutto rimosso dal dibattito occupato dalle iniziative «identitarie» dei postfascisti. Riempire gli stoccaggi di gas nell’inverno 2023-2024 (il prossimo) potrebbe essere più difficile del 2022.

PROBLEMA noto agli esperti del settore, ma non al dibattito politico ubriacato dalla propaganda che si intreccia con un’opinione pubblica militarizzata. Gentiloni ha aggiunto che «se vogliamo che lo sforzo enorme regga nel tempo dobbiamo anche diminuire il consumo energetico». Nel caso in cui la Russia di Putin interrompa il gas, e le forniture dal Mare del Nord andassero altrove, l’Italia sarebbe costretta a intaccare le risorse strategiche. Allora non solo il governo Meloni dovrà trovare altri soldi per contenere il «caro bollette», ma potrebbe essere costretto a varare un’austerità per le famiglie tartassate dal crollo dei salari e le imprese che si barcamenano con il rischio di licenziamenti di massa.

L’ALTRO ELEMENTO utile per capire l’economia di guerra attuale emerge dal capitolo del «rapporto di previsione 2022-2024» della Commissione Ue sull’Italia. E parla di un altro oggetto della contesa tra i «meloniani» e Bruxelles: il piano di «ripresa e resilienza» (Pnrr). Si legge che la «spesa primaria» diminuirà sia per l’annullamento dei bonus legati alla pandemia (rivendicati da Meloni), sia soprattutto sulle evidenti e notissime sin da subito difficoltà a realizzare in tempo i 200 miliardi e rotti di «investimenti» favoleggiati dal «Pnrr».

MAI FINORA la Commissione aveva ammesso l’evidenza nascosta dai corifei dell’«agenda Draghi», e dai suoi avversari. A Gentiloni è stato anche chiesto cosa pensa del fatto che su 55 «obiettivi» da raggiungere entro il 2022 l’Italia ne ha raggiunti fin’ora 25. «Che tutto fili liscio non è detto – ha detto – sappiamo tutti quanto non sia semplice sviluppare investimenti in qualsiasi paese e anche in Italia». Dopo la botta di realismo è subentrato il velleitarismo della volontà. Il governo italiano ha assicurato che il sacro Graal del «Pnrr» è «una grandissima priorità». In effetti, mai contraddire chi ti presta o regala soldi per la «crescita» mentre si parla di «recessione». Il problema è che il «Pnrr» è stato pensato per un’altra congiuntura, e con una prospettiva obsoleta. Nella policrisi capitalistica non tarderanno a crescere le richieste di rivederlo, come ha già fatto Meloni. Ipotesi esclusa da Gentiloni perché troppo complessa. C’è tempo fino al 2026. È probabile, al momento, che non basti.