“La democrazia americana non sopravviverà a un secondo mandato di zio Donald”, mette in guardia Mary L. Trump nel suo memoir Too Much and Never Enough. How my Family Created the World’s Most Dangerous Man dato alle stampe dall’editore americano Simon & Schuster nonostante i plurimi tentativi di bloccarne la pubblicazione.

In questo libro esplosivo, il 45° presidente degli Stati Uniti è definito senza mezzi termini “narcisista”. Avrebbe sofferto parecchio da piccolo e le sue emozioni sarebbero rimaste quelle di un bambino di tre anni sempre in cerca di
conferme, un tempo da parte del padre e oggi da parte di personaggi come Vladimir Putin e Kim Jong-un.

L’autrice è la nipote di Donald Trump, ovvero la figlia del fratello maggiore Freddy, il ribelle che amava andare in barca con gli amici, organizzava barbecue, lavorava come pilota di linea, aveva sposato una hostess (la madre dell’autrice) e moriva alcolizzato a soli 42 anni lasciando ben poco a moglie e figli.

Dottorato in psicologia, docente di corsi sui traumi, Mary L. Trump offre al lettore una cronaca dettagliata delle molteplici disfunzioni di una famiglia americana, disfunzioni che sarebbero all’origine dei disturbi di comportamento del presidente Trump e “rischiano di trasformare gli Stati Uniti in una versione più grande della mia famiglia disfunzionale e cattiva”.

Per ora il volume non è disponibile in italiano, ma la versione inglese si trova facilmente sul web. Il libro si apre con queste righe autobiografiche: “Il mio cognome mi è sempre piaciuto. Negli anni Settanta, ai campi estivi, tutti mi chiamavano Trump. Era orgogliosa, non perché il mio cognome evocasse potere e proprietà immobiliari, a quel tempo la mia famiglia era sconosciuta fuori da Brooklyn e dai Queens, ma perché quel suono era adatto a me: avevo sei anni, ero una bambina tosta, non avevo paura di niente. Negli anni Ottanta, quando mio zio Donald ha iniziato a usare il
nostro cognome come un marchio per i suoi palazzi a Manhattan, chiamarsi Trump è diventato più complicato”.

La fonte di tutti i guai pare essere nonno Fred, figlio di un immigrato dalla Germania sposato a una scozzese costretta a lasciare le isole Ebridi a causa della povertà ma anche della penuria di potenziali mariti dopo l’epidemia di spagnola, la fine della Prima guerra mondiale e una tempesta che faceva colare a picco la nave che riportava a casa i reduci.

Cresciuto in una famiglia dove la lingua madre era il tedesco, Fred sposerà una donna i cui problemi cronici di salute le impediranno di dedicarsi con costanza dei figli, lasciandoli alla mercé del padre che non si occuperà di loro ma controllerà ogni aspetto delle loro vite.

Cinque i figli di questa unione: la primogenita Maryanne è la brava ragazza che riuscirà a diventare giudice federale anche grazie alla spintarella del fratello Donald; il secondogenito è Freddy, padre dell’autrice nonché vittima designata delle cattiverie del genitore; la figlia di mezzo è Elizabeth, “una donna senza pretese”; il quarto è Donald, descritto come un piccolo insolente, che ruba i giocattoli al fratellino minore Rob; a quest’ultimo sono dedicate queste poche, impietose parole: “Spesso prendeva un pezzo di Philadelphia; si appoggiava al frigorifero, rimuoveva il rivestimento e mangiava quel formaggio cremoso come se fosse stato una caramella”.

Duecento pagine, risultato di decenni di sofferenza da parte dell’autrice, pubblicate per fare danni in vista delle elezioni americane del 3 novembre.