La stabilità è in cammino. Nel senso della legge di stabilità: come accade ogni anno dal 1978, deve venire approvato un provvedimento legislativo che dà un orientamento complessivo alla finanza pubblica, che è stata chiamata legge finanziaria fra il 1978-2010, poi legge di stabilità. Essa, che riassume le decisioni della maggioranza di governo in merito ai bilanci pubblici, è sempre più diventata una vera e propria arena di combattimenti parlamentari per strappare ulteriori finanziamenti a suon di emendamenti; la annosa mediazione fra istanze di maggioranza, opposizione, pressioni delle lobby e dei cittadini è un processo che dura mesi interi.

Ultimamente è stata polemica per la notizia, diffusa da una stampa un po’ sospetta di simpatie comuniste (Sole 24-Ore) che la spesa sanitaria cadrà sotto la soglia indicata dalla Organizzazione mondiale della sanità del 6,5% sul Pil. Il quotidiano di Confindustria non si inventa nulla, basta leggere i documenti ufficiali.

Il processo di approvazione della legge di stabilità viene preceduto da alcuni documenti governativi che fanno delle previsioni sull’andamento dell’economia e stabiliscono una base di obiettivi finanziari su cui impostare la discussione: il Documento di Economia e finanza (Def) è approvato a primavera; la bozza di della legge di stabilità è pronta nella prima metà di ottobre, poco prima compare la Nota di aggiustamento al Def.

A primavera il governo aveva previsto una crescita del Pil dell’1,1%, nella Nota del 23 settembre scorso spuntano previsioni più ottimistiche: +1,5% di crescita. Ma a fronte di ciò la spesa sanitaria non cresce in proporzione, anzi per gli anni successivi si prevede un calo, dal 6,7% sul Pil attuale ad un 6,3%.

Per capirne le motivazioni occorre comprendere chi è che veramente determina il bilancio pubblico italiano.

La riforma della governance economia della Ue è stata attuata fra il 2010-13 nel conteso della crisi del debito sovrano e con un insieme eterogeneo di misure (regolamenti, direttive, trattati extra-Ue) che ha installato una nuova procedura: il semestre europeo. Esso prevede che nei primi sei mesi di ogni anno si stabiliscano le linee generali della evoluzione economica dell’Unione e articolate istruzioni per ciascuno Stato: fra novembre e dicembre esce fuori una analisi economica della Commissione che il Consiglio europeo riprende nei due mesi successivi; a marzo escono i country-report della Commissione per ciascuno Stato membro, cui ognuno deve rispondere ad aprile con due documenti programmatici (sostanzialmente il Def di primavera), che le istituzioni comunitarie leggono e (eventualmente) correggono; la bozza della legge di bilancio va mandata alla Ue entro il 15 ottobre, e se non va bene parte un simpatico scambio di lettere fra i ministri statali e la Commissione. Ciò significa che i parlamenti hanno poco spazio di manovra fra i sempre più asfissianti parametri europei – riguardanti complicati calcoli percentuali in merito al deficit dello Stato o al debito pubblico, che poco coinvolgono il cittadino comune.

Il country-report dedicato all’Italia cita poco la sanità ma quando lo fa il senso non è equivoco: «adottare e attuare rapidamente la legge sulla concorrenza rimasta in sospeso; intervenire ulteriormente per aumentare la concorrenza nelle professioni regolamentate, nei trasporti, nella sanità» (Raccomandazione 5, p. 23); si deplora una crescita eccessiva della spesa rispetto a quella del Pil dato «l’insufficiente contenimento di specifiche voci di spesa, quali le pensioni e l’assistenza sanitaria» (p. 33). E si invoca la solita manna per il mainstream, indoviniamo quale? «Assicurare l’attuazione puntuale del programma di privatizzazioni e usare le conseguenti entrate straordinarie per accelerare la riduzione del debito pubblico» (Raccomandazione 1). Visto lo zelo del governo il bilancio lo potrebbe quasi scrivere direttamente la Commissione.