Matteo Salvini è stato tra i primi a complimentarsi con Geert Wilders «amico e storico alleato della Lega». Elly Schlein ha puntato l’indice sul leghista che s’infervora per chi se ne andava in giro col cartello «Non un euro per l’Italia». Schermaglie da talk show. Il leghista ha tutti i motivi di soddisfazione per un esito che gonfia le vele del sovranismo radicale e antieuropeo.

Giorgia Meloni, invece, non ha ritenuto opportuno fare complimenti di sorta al vincitore delle elezioni. Wilders, certo, è alleato di Salvini. Il Pvv olandese è una delle forze dell’eurogruppo Identità e Democrazia e non di quello meloniano dei Conservatori, che invece ha dovuto registrare batoste sia nelle elezioni spagnole che in quelle polacche. Il particolare certo non fa piacere alla leader dei Conservatori medesimi. Però è difficile credere che un anno e mezzo fa, prima della conquista di palazzo Chigi, la leader di FdI sarebbe rimasta altrettanto gelida di fronte al successo di un leader che dice più o meno quel che sosteneva lei allora e che ancora qualche volta dice.

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Il mutismo della premier è dovuto anche alla competizione tra i due eurogruppi di destra, rinfocolata dalle imminenti elezioni. Ma questo è il meno. La vittoria di Wilders fa gioco a Meloni quanto e più che al suo vice ma per motivi molto diversi e che impongono di evitare identificazioni con l’olandese. La vittoria netta del Pvv ha smantellato l’illusione nella quale l’Europa si cullava dopo le elezioni in Spagna e Polonia, quella di aver già fermato l’avanzata dell’estrema destra. Gli elettori olandesi hanno dimostrato che quell’offensiva non segna affatto il passo, al contrario incalza: di conseguenza ha riattizzato la paura di un’avanzata impetuosa della destra radicale anche in Francia e Germania il prossimo 9 giugno.

Nella piazza più nevralgica d’Europa, che resta l’Italia, il muro che impedisce l’avanzata di quella destra è rappresentato oggi proprio da Meloni, sovranista sì ma nei limiti concessi da un rigoroso europeismo, ringhiosa a parole ma nella sostanza adeguatasi alle regole europee sul bilancio, considerata ormai ovunque un capo di governo responsabile e affidabile. Se l’Europa si mostra così conciliante con l’Italia è soprattutto perché consapevole di questo ruolo che svolge oggi, non senza paradosso, la premier «sovranista». La conferenza stampa con Scholz a Berlino di due giorni fa ha messo plasticamente in scena lo slittamento nel ruolo e anche nell’immagine della un tempo temuta leader di FdI: era infatti evidente la fiducia del cancelliere socialdemocratico nella affidabilità della premier sulla carta di estrema destra.

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Non è solo questione d’immagine. La vittoria di Wilders offre a Meloni carte ottime, anche se non automaticamente vincenti, sui due tavoli principali della politica europea: il Patto di Stabilità e l’immigrazione. I margini di trattativa per rendere le nuove regole, se non morbide, almeno non troppo soffocanti per l’Italia derivano proprio dalla funzione che la leader dei Conservatori incarna oggi e ancor più potrebbe incarnare dopo le europee. La vittoria imprevista di Wilders, poi, è dovuta in larga misura all’immigrazione. Di qui alle elezioni europee cercare di spegnere quell’incendio prima che divampi nelle urne sarà una delle primissime preoccupazioni a Bruxelles e in tutta Europa. La premier italiana cercherà di sfruttare la circostanza per rendere operativa la sua svolta nella politica dell’immigrazione, la strategia che mira a passare dalla redistribuzione dell’accoglienza a «impedire che arrivino».

La svolta di Meloni è frutto di una strategia politica precisa che l’opposizione farebbe bene a prendere sul serio invece di limitarsi alle battute. Comporta un grosso rischio: quello di perdere la presa su un elettorato per definizione volatile. Proprio per questo, ieri, quando nel corso di un question time nel quale, al solito, rivendicava i «successi» del suo governo si è sentita rinfacciare da Matteo Renzi «l’incoerenza», Meloni è sbottata: «Il prezzo della benzina non dipende da me. Se vuol darci una mano col suo amico bin Salman». Ma neppure lei, come l’opposizione, può pensare di risolvere le cose in una gara di battute.