Fornire elettricità a case «illegali» è contro il Sionismo, se le abitazioni appartengono a cittadini arabi. È questo il succo del dibattito infuocato, per certi versi grottesco, che si è svolto ieri nei banchi della Knesset tra la maggioranza e l’opposizione composta dal Likud dell’ex premier Netanyahu e da formazioni religiose e dell’estrema destra. Lo scontro è cominciato quando i deputati della maggioranza hanno approvato un disegno di legge che dovrebbe consentire a 130mila arabo israeliani che vivono in abitazioni costruite senza permesso edilizio o in villaggi non riconosciuti dallo Stato, di avere accesso all’energia elettrica. A presentarlo è stato il partito arabo islamista Raam che con i suoi quattro deputati garantisce la sopravvivenza del governo del nazionalista Naftali Bennett. Il faccia a faccia è stato vicino a trasformarsi in un incontro di boxe quando è stato bocciato un emendamento che avrebbe consentito di collegare alla rete elettrica anche gli avamposti israeliani in Cisgiordania. A quel punto i parlamentari dell’opposizione, molti dei quali vivono negli insediamenti coloniali nei Territori palestinesi occupati, hanno lasciato l’aula e boicottato il voto finale. Qualche ora dopo il comune israeliano di Gerusalemme ha pensato di rispondere in qualche modo alla legge sull’elettricità approvando la costruzione di 1.465 alloggi per coloni israeliani nella zona Est, palestinese, della città, in particolare negli insediamenti di Givat HaMatos e Har Homa.
I «criminali arabi» di cui parla Smotrich sono cittadini israeliani che da decenni attendono di essere allacciati alle reti elettriche. Si trovano in Galilea o sono beduini del Neghev residenti in 35 villaggi e piccoli centri che – pur esistendo in non pochi casi prima della fondazione di Israele – non sono riconosciuti dallo Stato. Decine di migliaia di beduini che secondo il Piano Prawer e altri progetti dovranno essere «trasferiti» a Rahat (80mila abitanti) la più grande città beduina al mondo e in sette township create proprio per rimuoverli da terre definite come «agricole» o «demaniali». La loro causa è stata abbracciata da Mansour Abbas, il leader islamista di Raam, che nei mesi scorsi tra polemiche e attacchi di ex alleati e avversari, ha accettato di unirsi a forze di destra e di riconoscere come premier Naftali Bennett, pur di far parte del governo. Abbas, accusato dalle altre formazioni arabe israeliane di avere una linea «compiacente» nei confronti del potere e di aver dimenticato i palestinesi sotto occupazione militare, dal giorno dell’ingresso nell’esecutivo ha chiesto di risolvere il problema umanitario, in realtà politico, degli oltre 130.000 arabi israeliani senza elettricità pubblica.
Gli appelli alla «difesa del Sionismo» e il match di pugilato che si è sfiorato ieri alla Knesset appaiono ancora più paradossali tenendo conto che non è chiaro a quante case si applicherà la nuova legge. Un’analisi dell’ong Sikkuy rileva che non più di 1.050 abitazioni arabe soddisfano i criteri. Numeri che, se confermati, sarebbero ben lontani dall’obiettivo inseguito da Mansour Abbas. E se la destra estrema protesta, i partiti religiosi alleati del Likud sono favorevoli alla legge perché ne trarranno beneficio anche nelle comunità ultraortodosse, dove l’edilizia illegale è dilagante.