Appena chiudono le urne, comincia la conta dei partiti: voti guadagnati o persi, comuni conservati o “strappati”, sindaci vincenti o perdenti. Tutto comprensibile, almeno fino ad un certo punto. E il “certo punto” che non bisogna perdere di vista è rappresentato dal quadro d’insieme, dall’umore generale dei cittadini nei confronti del funzionamento del loro sistema politico. C’è un dato che ci aiuta più degli altri a capire qual è lo stato di salute della democrazia italiana, per lo meno a livello locale: la (non) partecipazione elettorale. Anche in questa tornata di elezioni amministrative, è continuato costante il declino dell’affluenza nei comuni italiani. Un calo, di circa 7 punti percentuali rispetto a cinque anni fa, che non può essere spiegato soltanto col fatto che in passato si votava in due giornate, mentre oggi il voto si svolge nella sola domenica. C’è qualcosa di più profondo, forse di strutturale, nella crescita sfrenata degli astensionisti.

Se allunghiamo lo sguardo al ventennio che abbiamo alla spalle, ci accorgiamo che nelle elezioni locali – dove il rapporto tra la politica, o i politici, e i cittadini dovrebbe essere più stretto – il partito multiforme dell’astensionismo si è ingrossato di oltre 20 punti percentuali. Lo confermano i dati dell’analisi condotta sul tema dall’Istituto Cattaneo: all’inizio della cosiddetta seconda Repubblica, con l’introduzione del modello di democrazia maggioritaria nei comuni italiani, la partecipazione elettorale si attestava in media attorno all’82%. Oggi invece ci fermiamo, con difficoltà, sulla soglia del 60%. Ma il dato più sorprendente è che la partecipazione in questi 25 anni è crollata nettamente più al Nord che al Sud, comprese quelle regioni “rosse” che fino a qualche anno fa potevano essere considerate il tempio del civismo, del capitale sociale e di una diffusa, radicata mobilitazione elettorale. Ormai da un decennio l’immagine di un’Italia spaccata a metà – con un Nord attivo e partecipativo e un Sud politicamente distaccato e disinteressato – si è completamente ribaltata nelle consultazioni municipali. Adesso ci troviamo di fronte a un’Italia “sottosopra”, dove le regioni meridionali superano abbondantemente quelle settentrionali in termini di affluenza al voto. Intendiamoci: anche al centro-sud l’astensionismo è in crescita, ma con un ritmo decisamente meno marcato rispetto a quanto stiamo osservando da tempo al Nord.

Sono molte le cause che possono essere richiamate per spiegare il calo della partecipazione. Alcune di breve e altre di lunghissimo periodo. C’è però una causa che sembra prevalere rispetto alle altre, e serve anche a spiegare la differenza segnalata sopra tra il Nord e il Sud. Si chiama “politica incolore”, fatta da partiti che dagli anni novanta in poi hanno perso identità e capacità di mobilitazione. Sono venuti meno (e non sono destinati a tornare) i vecchi partiti di massa, capaci di creare legami identitari e di solidarietà nell’elettorato, e al loro posto sono emersi partiti ideologicamente indistinguibili e programmaticamente sempre più convergenti. Le tradizionali culture di partito sono state soppiantate da storytelling che durano lo spazio di un mattino, giusto il tempo di accompagnare la sempre più fugace parabola del leader di turno. Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: un’astensione che cresce soprattutto in quelle regioni dove i partiti “storici” erano così radicati d’aver plasmato culture politiche destinate a superare il ciclo di vita di un singolo leader. Al contrario, la partecipazione elettorale nei comuni del Sud non ha subito il tracollo osservato al Nord perché è ancora funzionante e attiva la rete estesa di micro-notabili e campioni di preferenze in grado di portare al voto elettori grazie a incentivi spesso localistici e talvolta clientelari.

Quindi, il quadro che emerge da questa tornata di elezioni è tutt’altro che entusiasmante, come alcuni partiti si sono invece affrettati a dichiarare. Dentro il partito del non-voto ci sono diverse anime, con motivazioni e intenzioni diverse. Ma è evidente che la decisione di non scegliere e di non partecipare al voto è un segno di crescente distacco e disillusione nei confronti della politica. Il non-voto non fa rumore e non suscita scalpore, ma è come la goccia che scava la roccia in modo silenzioso un passo alla volta. Chi è interessato soltanto al proprio destino personale, non vede né la goccia dell’astensione né la roccia della nostra democrazia.