Proseguono le iniziative del People’s Summit, il controvertice che si sta tenendo a Glasgow mentre vanno avanti i negoziati della Cop26. Protagonista indiscusso della giornata di lunedì è stato il mondo del lavoro, i cui soggetti hanno partecipato attivamente durante tutto il percorso che ha portato alle mobilitazioni e al contro-summit.

La chiesa parrocchiale del quartiere di Govan si è trasformata per l’occasione nel Just Transition Hub, dove per tutta la giornata sindacati e società civile hanno condiviso idee e visioni per una transizione giusta. «Not just a transition, but a just transition» è uno degli slogan fatto proprio da sindacati e movimenti. Per decenni, il distretto di Govan è stato il cuore della working class di Glasgow. Tuttavia la de-industrializzazione, che ha portato alla chiusura delle miniere prima e dei cantieri navali poi, ha reso il distretto uno dei più poveri della città, con un’aspettativa di vita media per gli uomini di 17 anni inferiore a quella dei quartieri più ricchi. Un dato che la dice lunga sul livello di disuguaglianza qui in Scozia.

Ad aprire il lavori della giornata è stato Sean Sweeney, coordinatore del Tued (Trade Unions for Energy Democracy) il quale si è scagliato contro il paradigma neoliberista di economia verde, avanzando come piano politico alternativo la democratizzazione del sistema energetico attraverso la ripubblicizzazione delle utilities elettriche. A seguire, Denise Christie, femminista e segretaria regionale del Fire Brigades Union, ha ricordato come i vigili del fuoco siano già in trincea contro gli effetti della crisi climatica, ma ciò nonostante il governo stia continuando a tagliare fondi e a ridurre il personale, mettendo a rischio il loro servizio. Promotore dell’iniziativa è la Just Transition Partnership, coalizione formata nel 2017 tra sindacati e organizzazioni della società civile come Friends of the Earth Scozia (Foe). L’obiettivo è quello di lottare insieme per una transizione che metta il lavoro al centro e in particolare i settori più a rischio, come i lavoratori dell’industria fossile.

Tra il 2019 e il 2020, Foe insieme con Greenpeace e Platform ha condotto un vasto sondaggio tra il personale impiegato nelle piattaforme petrolifere del Mare del Nord, dal quale è emerso che oltre l’80% di loro sarebbe pronto a cambiare lavoro, ma per la stragrande maggioranza (91%) non ha mai nemmeno sentito parlare di «giusta transizione».

A rendere ancora più difficile il passaggio da un settore all’altro è il costo esorbitante dei corsi di formazione che permetterebbero il ricollocamento dei lavoratori, costretti a pagare di tasca propria fino a 2000 sterline l’anno. Una vera e propria estorsione, la definisce un lavoratore. La pandemia ha avuto un impatto durissimo sul comparto petrolifero del Mare del Nord, causando la perdita del lavoro per circa 30mila persone. E’ evidente che qui in Scozia giustizia climatica e sociale non possano prescindere l’una dall’altra.

Il pensiero non può che andare all’Italia, dove la crisi strutturale del comparto petrolchimico sta mettendo a rischio il lavoro di centinaia di persone, da Stagno fino a Milazzo, e di giusta transizione ce ne sarebbe un disperato bisogno.

L’autore fa parte di Re:Common