«E no bella, te ne sei andata a dormì a casa e il posto l’hai perso». Scivola indietro nelle posizioni la titolare del simbolo del Lucentismo. Mancano ancora venti minuti alle otto del mattino, l’ora fissata per il primo atto delle elezioni di settembre. Sullo scalone del Viminale per i poliziotti è il momento di mettere ordine nella matassa di persone in attesa.

L’ordine in realtà c’è. L’ha stabilito come sempre Mirella Cece, presentatrice professionista del simbolo del «Sacro romano impero». Era qui, ne siamo testimoni, già mercoledì pomeriggio con il suo registro a tre copie per segnare le precedenze. Una copia al presentatore, una ai poliziotti di piantone che imbarazzati raccolgono e di nascosto cestinano, una a lei, autorità autocostituita. Allenata negli anni alla resistenza, amicizie e solidarietà nei bar e alberghi zona Viminale, Cece in abito da parata bianco e azzurro tempestato di immagini sacre è una maschera della commedia elettorale, ma i partiti ci fanno affidamento perché almeno mette un po’ d’ordine. È sempre la prima, ma poi ne lascia passare avanti due perché anni fa ha avuto una visione che le ha comandato di seguire sempre il numero tre. Stavolta i fortunati che hanno il permesso di sorpassarla sono il simbolo del partito liberale (uno dei) e quello del movimento autonomista italiani all’estero, il Maie.

Si fa la corsa al deposito dei simboli per una sola ragione, non c’entra niente l’ordine di presentazione sulle schede elettorali perché quello viene sorteggiato e la gran parte dei simboli depositati, oltretutto, non raccoglierà le firme per presentare le liste. È importante arrivare primi perché in caso di simboli identici o molto simili, simboli di cui il Viminale non riconosca la titolarità, tocca a chi arriva dopo sollevare ricorso contro i primi. E sono spese e seccature. Così di buon mattino incontriamo in fila anche il vicepresidente del senato Roberto Calderoli, motore primo della macchina elettorale leghista. Di nuovo qui? «Meglio non perdere le buone abitudini. Meglio soprattutto che siano gli altri ad avere un problema e non noi». Calderoli non ha niente da temere: deposita il simbolo già sperimentato «Lega Salvini premier» (chissà che ne pensa Meloni), quindi non si preoccupa che anche quest’anno sia stato battuto dalla Liga veneta che è quarta e lui è nono.

Roberto Calderoli
Sveglia superflua? Meglio non perdere le buone abitudini. E in ogni caso preferisco che siano gli altri eventualmente ad avere il problema del ricorso

Il settimo posto se lo aggiudica un simbolo al debutto, messo insieme a fatica appena poche ore prima: quello del «Terzo polo». A depositarlo è l’ex deputato Andrea Mazziotti che deve ringraziare la staffetta notturna di tre ragazzi di Azione se evita il rischio del 2013: arrivò al Viminale con l’emblema di Mario Monti e trovò che era già passato un certo Samuele Monti. Stavolta non ci sono altri Calenda.
Subito dopo, all’ottavo posto, c’è però un signore che in quanto a rappresentante del centro ha più quarti di nobiltà: Clemente Mastella. Il sindaco di Benevento si è presentato all’alba con una scorta di famigli che gli tengono il posto mentre lui fa il giro delle telecamere. Nel suo simbolo oltre al cognome c’è la scritta «noi Di Centro», è il primo ad usare queste parole che ricorrono anche in altre liste e l’unico ad aver scritto in stampatello la D e la C. Mentre aspetta, Mastella confida a Gabriele Maestri, grande esperto di simboli e affini, che ha trovato un inghippo per non dover raccogliere le firme. Chissà. Lo sostiene anche il generale Pappalardo che mette in scena il suo circo insultando a gran voce giornalisti e politici – un po’ tutti quelli che cercano gloria politica per un giorno insultano i politici. Ma non bisogna credergli, i «Gilet arancioni» dell’ex carabinere ci saranno risparmiati.

La folla sbanda, qualcuno spinge, sarà che Mirella Cece è entrata e si è perso l’ordine. Gira un nuovo foglietto con i nomi. Inutilmente la Protezione civile ha montato tende e scaricato acqua, è la prima volta che lo spettacolo dei simboli va in scena in piena estate con il gran caldo, nessuno però se ne sta in fila, ordinato, nel posto previsto. In un angolo c’è Dino Giarrusso, parlamentare europeo ex grillino, più cupo del solito. È qui per presentare il simbolo di «Sud chiama nord», la lista che aveva deciso di lanciare con l’ex sindaco di Messina Cateno De Luca. Ma dieci giorni fa hanno litigato per le candidature e adesso De Luca è tre posti avanti a lui e ha un simbolo con il suo nome e quello del partito che avrebbero dovuto fondare insieme.

Per diciannovesimo fanno entrare Mauro Alboresi, segretario del Partito comunista italiano che porta con sé il simbolo storico, la bandiera rossa con falce e martello sopra quella italiana. Se non riuscissero a raccogliere le firme si rischierebbe per la prima volta di non avere il simbolo comunista sulla scheda da quando Guttuso lo disegnò per le elezioni del 1953 per il Pci, quello vero.
Nel pomeriggio arriva al Viminale anche Roberto Fiore con il simbolo di Forza Nuova, movimento che il Viminale vorrebbe sciogliere: a settembre più che al voto dovrà pensare al processo per l’assalto alla Cgil. Prima era arrivato il simbolo di Forza Italia e dopo arriverà quello di Di Maio. Alla fine della prima giornata sono 55, ma c’è tempo fino a domenica. Per i partiti più grandi la corsa comincia adesso. Per tutti gli altri lo spettacolo è già finito.