I media legati all’opposizione siriana descrivono una Damasco in preda al panico, ‎con i suoi abitanti che si preparano a un devastante attacco militare da parte degli ‎Stati uniti. Gente incollata alla tv, strade vuote e taxisti che fanno fatica a trovare i ‎clienti, questo il quadro fatto, ad esempio, dal sito d’informazione al Hal che ‎sottolinea che i più preoccupati sono i damasceni di Mezzeh, un’area residenziale ‎non lontana da un aeroporto che con ogni probabilità è sulla lista degli obiettivi ‎del Pentagono. Ma le cose non stanno affatto così. Damasco vive giornate uguali ‎alle altre nonostante le minacce di Trump. Proprio a Mezzeh abbiamo raccolto, via ‎telefono, la testimonianza di Monica Mazzotti, una cooperante della Ong di ‎Bologna GVC, in Siria per seguire i progetti della sua organizzazione nei settori ‎dell’istruzione e delle risorse idriche. ‎«Sono alloggiata in un hotel del centro di ‎Damasco – ci ha detto Mazzotti -, questa mattina (ieri) ho preso un taxi per ‎raggiungere l’ufficio del Gvc a Mezzeh, una zona più periferica. Durante il ‎percorso non ho notato nulla di insolito. Tutto normale, il traffico della scuola, dei ‎lavoratori. Poco fa sono andata a comprare un po’ di cose e tutto è assolutamente ‎normale, tranquillo».‎

‎ La cooperante ha aggiunto di essere rimasta molto sorpresa quando qualche ‎giorno fa è giunta a Damasco. ‎«Non ero mai stata qui prima – ha precisato – e ‎seguendo la crisi siriana dall’Italia o dal Libano mi aspettavo una città impaurita, ‎una popolazione affranta per la guerra, certo un’atmosfera non serena. Ho trovato ‎invece una Damasco viva, le scuole sono aperte, la gente va a lavorare, c’è ‎movimento. La scorsa settimana le strade erano piene per i festeggiamenti della ‎Pasqua (ortodossa). E in questi ultimi due giorni l’atmosfera non è cambiata. ‎Credo i siriani, lo noto anche tra i miei colleghi, si siano abituati al conflitto, ‎perciò affrontano con resilienza la situazione. E ironizzano sulla minaccia di un ‎attacco da parte di Trump che prendono sul serio ma fino a un certo punto».‎

‎ Una parvenza di vita normale torna poco alla volta anche nella Ghouta ‎orientale, l’area a ridosso della capitale dove sarebbe avvenuto l’attacco con ‎presunte armi chimiche che avrebbe provocato decine di vittime e che Washington ‎attribuisce all’aviazione governativa siriana. Damasco nega con forza e, assieme ‎alla Russia, parla di una messinscena. In varie zone della Ghouta le distruzioni, a ‎causa di bombardamenti aerei e combattimenti, sono enormi, con centinaia di ‎edifici, forse di più, ridotti in macerie. Tanti altri sono danneggiati spesso in modo ‎irreparabile. Tuttavia sta già dando frutti l’uscita dalla Ghouta dei gruppi armati ‎Jaysh al Islam, Ahrar ash Sham, Nusra e Faylaq ar Rahman, formazioni jihadiste e ‎qaediste che in Europa verrebbero considerate terroristiche ma che in Siria i ‎governi e i media occidentali definiscono come “ribelli”. Otto scuole hanno ‎riaperto a Saqba, Kafr Batna, Ayn Tarma, Haza e Harasta e altre lo faranno presto ‎secondo i media locali. Nei prossimi giorni almeno 10mila ragazzi della Ghouta ‎dovrebbe rientrare nelle aule.‎

‎ «La liberazione della Ghouta aiuta il ritorno alla normalità anche in altre parti ‎della Siria» ci spiegava, sempre ieri, Talal Kraiss, un giornalista libanese in questi ‎giorni a Damasco. ‎«Si passa per la Ghouta per andare dalla capitale a Homs e in ‎altre città o per andare in Giordania e ora le strade sono libere. Nella capitale e ‎nelle aree intorno non c’è alcuna preparazione (in vista del possibile attacco Usa, ‎ndr). La gente va nei caffè come sempre, al mercato, fa le solite cose. Non è ‎cambiato nulla». A giudizio di Kraiss le autorità siriane sono relativamente ‎tranquille. ‎«Alcuni ufficiali della sicurezza che ho incontrato dicono che il motivo ‎per cui Trump ha moderato un po’ i toni è legato all’Iran, al movimento sciita ‎libanese) Hezbollah e all’esercito siriano che hanno promesso che risponderanno ‎ad un attacco contro obiettivi strategici e che la loro risposta sarà contro Israele. La ‎Russia ha fatto sapere al ministro della difesa (israeliano) Lieberman che la ‎reazione all’attacco Usa sarà contro le città israeliane. Per questo Israele che ‎premeva per l’attacco alla Siria ora è più silenzioso e non rincara la dose‎. I siriani, ‎le persone comuni, seguono questi sviluppi e forse questo contribuisce alla ‎nomalità della situazione». ‎

‎ Trump comunque va avanti e ieri ha annunciato che ‎«Le decisioni saranno ‎prese abbastanza presto‎». Il capo del Pentagono, James Mattis, gli ha presentato le ‎opzioni sulla Siria nel corso di una riunione del Consiglio per la sicurezza alla ‎Casa Bianca. Tra queste ci potrebbero essere anche sanzioni politiche ed ‎economiche.‎