«Quel mattino i talebani hanno sfondato la porta di casa portando via mio fratello, mio zio e mio padre. A Kabul, la mia città, sono rimasta ancora qualche mese in attesa che i miei famigliari tornassero. Tutto questo non è mai avvenuto. Dopo tre anni, di loro non c’è traccia». Maryam ha 25 anni ed è andata via dall’Afghanistan in un giorno di primavera. «Studiavo storia dell’arte. Poi l’università è stata colpita da ripetuti attacchi terroristici. Non ero più al sicuro, e così sono andata via». La ragazza respira profondamente prima di riprendere a parlare: «Per noi donne afghane i problemi non iniziano con il ritorno dei Talebani al governo: ci sono sempre stati. Ora la situazione è solo peggiorata», dice Maryam prendendo la mano della donna che le siede accanto. «Lei è Nadia, mia sorella. E’ voluta fuggire in Europa con me e le sue bambine. A piedi abbiamo attraversato Iran, Turchia, Grecia, Serbia. In Croazia è stato un inferno. La polizia ci ha derubate ed è stata violenta. Non ha avuto rispetto neanche per i bambini».

SEDUTA VICINO ALL’ENTRATA del rifugio Fraternità Massi di Oulx, in Val Susa, Maryam osserva le Alpi Cozie avvolte nella luce del tramonto. Oltre quelle cime c’è la Francia. C’è l’Europa. «Se guardo alla bellezza della natura mi sento serena. Spero di arrivare presto in Svezia per ricominciare a vivere». Sul rifugio è scesa la sera. Decine di persone aspettano in fila abiti e scarpe puliti. Un gruppo di bambini rincorre un pallone fra i container destinati alle famiglie. «Ogni sera accogliamo trenta, cinquanta persone, soprattutto nuclei famigliari» afferma Silvia Massaro, volontaria al Fraternità Massi. «Qua siamo aperti dal 2018 e ci occupiamo della parte emergenziale e umanitaria di chi passa il confine» spiega don Chiampo, parroco di Bussoleno e presidente di Talità Kum, fondazione che gestisce lo spazio. «Con l’inverno attendiamo maggiori presenze» – prosegue il sacerdote- «abbiamo avuto altri spazi e resteremo aperti 24 ore su 24. Senza volontari e operatori, tutto questo non sarebbe possibile».

I FLUSSI MIGRATORI cominciano a giungere in Val Susa a partire dal 2017. Dopo la sospensione dei trattati di Schengen (2015), nel 2017 la Francia approva ulteriori leggi anti- terrorismo all’indomani dell’attentato al Bataclan di Parigi che portano a rafforzare i controlli della Gendarmerie lungo il confine delle Alpi Marittime, fra Ventimiglia e Mentone. Ciò porta i migranti a seguire il sentiero sul valico alpino Colle della Scala, a Bardonecchia, in Val Susa. Con ghiaccio e slavine però, questo percorso si può trasformare in una trappola mortale. Nell’inverno del 2017, sulle Alpi cadono fino a due metri di neve. Alcuni migranti vengono salvati dal soccorso alpino della Cri. Altri, invece, sul passo perdono la vita e i loro corpi saranno ritrovati solo in primavera. «Non potevamo lasciar morire di freddo quelle persone», continua Silvia Massaro. «Così, nella sala d’attesa della stazione ferroviaria di Bardonecchia abbiamo allestito un piccolo ricovero».

DA QUELL’ESPERIENZA germoglia la rete di accoglienza ancora adesso attiva tra Susa, Bussoleno e Oulx, su cui si sposta quando i migranti iniziano a percorrere le vie che da Claviere, comune sulla frontiera, portano fino in Francia. «Il rifugio vuole offrire ai migranti un luogo di conforto. Lavarsi, parlare, sono azioni semplici che restituiscono dignità all’essere umano», prosegue Silvia Massaro. «In quest’epoca il flusso migratorio è inarrestabile. Noi ci sentiamo come una goccia in mezzo al mare e proviamo a rendere più umano questo loro cammino. Ammesso che si possa».

UNA FAMIGLIA DEL Kurdistan iracheno è seduta al tavolo della grande cucina del rifugio. E’ ormai ora di cena, e giù nel piazzale un’infermiera effettua i controlli anti- Covid19 su un bambino. «Ci occupiamo principalmente della prevenzione contro il Coronavirus, e in caso di positività siamo in contatto con la guardia medica e il 118» spiega Antonella, infermiera dell’ong medico- sanitaria Rainbow4Africa. «Molte volte i migranti riportano ferite ai piedi dovute un cammino senza sosta. Per non parlare di quelle psicologiche. C’è chi racconta gli abusi subiti in Croazia. Chi ha perso i contatti con la famiglia, magari già dall’altra parte del confine. A volte passano donne, bambini, ma il resto dei famigliari resta bloccato alla frontiera. Perché questa rotta è particolarmente attraversata dalle famiglie provenienti dalla rotta balcanica. Tutto questo non è affatto giusto. Nessuno va lasciato indietro».

SE LA ROTTA PROVENIENTE dal Mediterraneo, nonostante mille difficoltà continui a preferire la via di Ventimiglia, dalla primavera del 2020 in Val Susa fa tappa la rotta balcanica; percorsa soprattutto da chi proviene dal Medio Oriente e dall’Afghanistan. Secondo l’ong Rainbow4Africa, tra marzo e luglio di quest’anno sono passate per Oulx migliaia di persone provenienti soprattutto da Iran, Kurdistan- Iracheno e Afghanistan: solo da qui si conta che siano giunte a Oulx almeno 1547 persone. Così come accade durante la Resistenza, quando i partigiani organizzano in territorio francese il contrattacco al nazifascismo e n anni ’50, quando gli italiani provano ad entrare in Francia senza un documento, oggi sulle Alpi la storia si ripete. L’Italia è un Paese di transito ed è una delle tappe affrontate dopo aver superato il “game”; il percorso a ostacoli da superare nei Balcani. Abusi e soprusi che si intrecciano con le violenze subite anche sulla frontiera franco- italiana e raccolte nel dossier “A porte chiuse” di Drc (Danish Refugee Council) in collaborazione con Asgi, Diaconia Valdese e Caritas.

IL REPORT DENUNCIA principalmente gli abusi commessi sulla frontiera italo- francese contro i minori non accompagnati; identificati spesso come adulti o respinti senza un refus d’entrée rendendo così impossibile un ricorso al respingimento in Italia. Vengono poi segnalati respingimenti dai toni e dalle modalità violente soprattutto nei confronti di donne e soggetti vulnerabili. “Questo sistema è una follia. Non avere un passaporto equivale a restare bloccati” afferma Davide Rostan, ex pastore valdese di Susa. «I respingimenti provocano paura nelle persone che invece avrebbero bisogno di andare in luoghi sicuri». Ormai è notte. «Stanotte proveremo a passare la frontiera» racconta Feroz, 22 anni, che ha lasciato l’Iran tre anni fa. «Con me c’è mio padre» dice indicando un uomo accovacciato su una branda. «Stanotte ha dovuto riposare, ma ora cammineremo ancora. Non vogliamo più tornare nel nostro Paese, dove siamo stati perseguitati per credo e idee politiche». Feroz mette lo zaino sulle spalle. Il padre si alza, e insieme si dirigono verso l’uscita del rifugio. «Ora ci aspetta la libertà», dichiara con un sorriso il ragazzo mentre chiude il cancello alle sue spalle. Da quando le corse serali dei bus Oulx-Claviere sono state soppresse, i migranti provano a raggiungere il paese di frontiera camminando per 20 km.

«NELLE ULTIME SETTIMANE sono drasticamente aumentati i respingimenti da parte della Gendarmerie» spiega M., volontaria al rifugio. «Le famiglie partono durante il giorno, e ipotizziamo che le persone tratte in salvo alcuni giorni fa a 2000 mt di quota stessero tentando di attraversare una rotta meno controllata. Lo Stato contribuisce al finanziamento del Fraternità Massi ma sgombera la casa Cantoniera di Claviere a quattro giorni dalla sua occupazione. In questo modo, i transitanti non hanno supporto. Noi, come volontari, possiamo supportare i migranti in transito offrendo loro informazioni, ma si prospettano situazioni di affollamento e gravi difficoltà di intervento». E da qualche giorno il rifugio di Briancon, in Francia, punto di ristoro dopo 14 km di cammino, ha dovuto sospendere la sua attività per la mancanza di spazi in cui ospitare le persone.