«Le foot? Je m’en fous». Anche se nelle nostra lingua la frase non suona come l’originale, il senso non cambia. Marion Maréchal-Le Pen, deputata del Front National e astro nascente dell’estrema destra francese, non ha dubbi: «Il calcio? Io me ne frego».

Per quanto paradossale possa apparire in tempi in cui ogni sorta di populisti e nazionalisti cercano di far proprio l’entusiasmo degli stadi, è questo l’atteggiamento dominante nel Fn. Al punto che il partito non solo non intende sfruttare il clima di patriottismo calcistico che accompagnerà Euro 2016 che si inaugura oggi a Parigi, ma considera i Bleus, la Nazionale transalpina, come il simbolo, e uno dei più odiati, di quella Francia meticcia contro cui ha lanciato da tempo la propria crociata.

In una lunga intervista pubblicata dalla rivista sportiva Onze Mondial, la presidente del Fn ha attribuito la freddezza, anche se sarebbe forse meglio parlare di aperta ostilità, del Fn nei confronti della Nazionale, e più in generale del fenomeno calcistico, alla «corruzione che attraversa questo ambiente». Marine Le Pen ha cercato come al solito di dare una spolverata «sociale» e di senso comune alle sue affermazioni parlando delle «derive di tutti i generi che caratterizzano il calcio, lo scandalo Fifagate, la sua finanziarizzazione e il suo approccio esclusivamente commerciale». Concludendo che «l’ultraliberismo applicato al calcio non può che produrre dei risultati spaventosi».

Nicolas Sarkozy non fa mistero di essere un tifoso sfegatato del Psg e un habitué del Parc des princes, mentre François Hollande oscilla tra la squadra dell’infanzia, l’AS Monaco, e il FC Rouen – entrambi poi, al pari di Jacques Chirac non hanno mai perso una partita casalinga dei Bleus -, gli esponenti del Front National invece si tengano ben lontani dalle kermesse calcistiche. Marine e Marion Le Pen fanno sapere di non frequentare mai gli stadi, mentre il vice presidente del partito, Florian Philippot, che incarna per altro l’anima più «pop» della destra xenofoba, ammette di esserci stato, ma «una sola volta e al seguito di un gruppo di colleghi di lavoro».

Allo stesso modo, anche gli eletti locali del Fn, come ad esempio quelli di Hénin-Beaumont, roccaforte lepenista del Pas-de-Calais, non sono certi di assistere alle partite degli europei anche quando si tratterebbe, come nel loro caso, di spostarsi solo di qualche decina di chilometri per raggiungere lo stadio di Lens. Del resto, anche nelle amministrazioni locali, il Front National non si dimostra vicino nemmeno al calcio amatoriale. Nelle cittadine di Beaucaire, Fréjus e Mantes-la-Ville, quest’ultima nella grande periferia parigina, guidate da sindaci frontisti, le sovvenzioni per le squadre locali sono state tagliate di netto con la scusa di dover fare economia. Anche se in realtà, come si coglie dalle parole di Cyril Nauth, primo cittadino di Mantes-la-Ville, ad essere rimproverato a giocatori e dirigenti del FC Mantois, era soprattutto il loro «profilo» e forse le loro origini. Per il sindaco del Fn, infatti, «questa gente si esprime in modo irrispettoso», sembrano «dei ragazzi di strada della banlieue».

 

benzema
 Il problema è proprio questo. In un paese in cui il calcio continua a rappresentare, pur tra mille contraddizioni, uno straordinario ascensore sociale per i ceti più deboli, e tra questi i figli e i nipoti di arabi e africani, arrivati nel paese nel corso dell’ultimo mezzo secolo, che in Francia continuano a essere chiamati «immigrati di seconda generazione», il Front National non può identificarsi con un simbolo che presuppone per sua natura che le carte dell’identità siano di continuo rimescolate. E questo che si tratti dei simboli vincenti della Nazionale black-blanc-beur di Zidane del 1998, come delle squadrette di periferia dove il mix culturale fa parte del quotidiano. Da questo punto di vista, come nota il sociologo dell’Università di Tour Sylvain Crépon, «i Bleus non rappresentano l’idea di Francia che sostiene il Fn, e questo malgrado il discorso “repubblicano” che si sforza di tenere negli ultimi anni Marine Le Pen. Agli occhi di costoro, molti giocatori della Nazionale appaiono ancora poco più che dei delinquenti di strada che hanno fatto carriera».

Così, se nel 1996 Jean-Marie Le Pen se la prendeva con i giocatori che «non conoscono neppure la Marsigliese», perché qualcuno era andato a prenderli all’estero per «poi presentarli come la squadra Nazionale francese», vent’anni più tardi sua figlia denuncia il «comunitarismo che attraversa l’équipe della Francia» e se la prende in particolare con Karim Benzema, escluso dai Bleus per un presunto ricatto contro un suo compagno. Questa la versione accreditata dall’allenatore Didier Deschamps, sospettato di aver ceduto alle pressioni di una «parte razzista del paese», come sostiene lo stesso attaccante. «Può una persona simile rappresentare il nostro paese?», si è chiesta la presidente del Fn. Taglia corto sua nipote, Marion, segnalando quale sia il problema che l’estrema destra ha con i giocatori figli di immigrati e cresciuti nelle banlieue, vale a dire con una parte rilevante del calcio francese. «Nato e formato nel nostro paese, Benzema è diventato milionario grazie alla Francia sulla quale oggi sputa: se non è contento, perché non se ne va a giocare nel suo paese (l’Algeria)?».