Stava aspettando la decisione della Corte costituzionale, il Tar del Lazio che ieri – a distanza di quasi un mese dalla sua udienza e di sole 24 ore dall’inammissibilità dei ricorsi alla Consulta – ha chiuso anche la strada della giustizia amministrativa a chi cercava (in questo caso di nuovo l’avvocato Besostri e il partito radicale) di sganciare il referendum costituzionale contro il taglio dei parlamentari dalle elezioni regionali e amministrative. Gli election days sono confermatissimi, dunque, e sopratutto hanno avuto per la prima volta un’impegnativa benedizione della Corte costituzionale.
Sono state pubblicate infatti le motivazioni con cui la Corte ha giudicato inammissibili i quattro ricorsi contro l’abbinamento referendum-elezioni. Attesa e assai interessante l’ordinanza redatta dal giudice Giuliano Amato che ha detto no anche al ricorso al quale si concedeva nelle previsioni qualche chance, quello del comitato promotore del referendum.

Ma non è tanto sulla legittimazione a proporre il ricorso – in questo caso negata – che risiedono i motivi di interesse dell’ordinanza, quanto nelle parole che per la prima volta la Corte costituzionale dice sulla controversa questione dell’accoppiamento referendum-elezioni politiche. La legge ordinaria si occupa solo del referendum confermativo e dell’abbinamento al voto per il parlamento, vietandolo al punto che il referendum già convocato deve essere obbligatoriamente rinviato all’anno successivo nel caso di elezioni anticipate. Ma adesso la Corte costituzionale scrive che non sussiste la possibilità che la campagna elettorale sulla riforma costituzionale venga influenzata dallo scontro politico sul voto (in questo caso) regionale, «giacché sempre le forze politiche hanno dato indicazioni agli elettori anche sui referendum costituzionali». Lo sappi ail Pd che ancora non si è pronunciato ufficialmente sul sì o sul no. «La logica referendaria – si legge nell’ordinanza Amato – è intrecciata a quella della democrazia rappresentativa, non separata da essa», argomentazione che sembra potersi estendere a tutti i referendum, dunque anche all’abrogativo. L’ordinanza nota anche che «non può dirsi che la contestualità tra differenti campagne elettorali comporti, di per sé, una penalizzazione degli spazi d’informazione dedicati alla campagna referendaria», anche se è quello che sta succedendo. Infine nemmeno «l’eventuale maggiore affluenza alle urne nelle regioni e nei comuni ove si tengono elezioni pregiudica lo svolgimento del voto referendario, per il quale non è previsto un quorum strutturale».

Nel frattempo il governo ha dovuto fare un altro decreto elettorale. Per prevedere stavolta che sia direttamente l’elettore a deporre la scheda nell’urna. E non il presidente di seggio, munito di guanti, come da indicazioni del Viminale di solo 4 giorni fa. Queste novità dovranno essere trasferite nel decreto agosto in fase di conversione, visto che il termine di decadenza del nuovo decreto è successivo alla data delle elezioni