Serve un intervento normativo capace di contrastare i discorsi di istigazione all’odio che vengono fatti in rete, ma non solo. E questo intervento è sempre più urgente. E’ l’invito che la Commissione straordinaria per il contrasto ai crimini di odio guidata dalla senatrice Liliana Segre rivolge al parlamento al termine di dieci mesi di lavori, e contenuto in una relazione finale votata – fatto per niente scontato viste le difficoltà incontrate quando si trattò di istituire la commissione – all’unanimità da tutti i gruppi.

«I crimini di odio nascono proprio con le parole», avverte Segre presentando ieri al Senato le conclusione raggiunte dalla commissione. Per l’occasione aveva preparata una relazione che però mette subito da parte preferendo parlare a braccio: «Quando ero bambina mi dicevano muori, poi è arrivata la Shoa», dice ricordando le conseguenze subite a causa delle leggi razziali volute dal fascismo. «A 8 anni, innamorata della scuola, venni espulsa e divenni una bambina invisibile», prosegue ricordando come anche i vicini di casa «ti allontanano» o quando alla porta di casa bussava la «polizia trattando la tua famiglia come una nemica della patria». E oggi, a 92 anni, è costretta a girare con la scorta «non perché senatrice – spiega – bensì perché sono ancora bersaglio dei discorsi di odio».

Liliana Segre
I crimini di odio nascono proprio con le parole. A otto anni mi dicevano devi morire, poi è arrivata la Shoa. E oggi sono ancora un bersaglio

Come successo in passato con gli ebrei, anche oggi esistono categorie precise di persone prese di mira dagli haters a causa della loro religione, del sesso, dell’identità di genere o del colore della pelle. Con l’obiettivo non solo di offendere, ma di limitarne le libertà personali. «Al si là del suo contenuto intrinseco il discorso di odio veicola altri due messaggi» spiega il senatore Pd Francesco Verducci, relatore della commissione. «Il primo è indirizzato al gruppo attaccato: ha l’effetto di compromettere il sentimento di sicurezza e di libertà delle persone o dei gruppi presi di mira inducendoli a pensare che non vi sia spazio per loro in una determinata società. L’altro messaggio è indirizzato ai membri della comunità che non appartengono al gruppo o alla categoria sociale attaccati, veicolando. L’idea che le opinione alla base del discorso di odio siano largamente condivise».

La commissione segnala come «un diffuso sentimento antiebraico» sia presente nella nostra società «con percentuali per nulla trascurabili» e legato a momenti particolari, come la Giornata della Memoria, che scatenano la reazione di gruppi negazionisti e di estrema destra. Parole e concetti di odio sempre più presenti nel web dove, pur avendo meno visibilità, hanno la possibilità, avverte la commissione, «di entrare nel linguagg io dominante, inserendosi nella quotidianità e normalizzano il ingaggio d’odio».

In crescita anche i casi di islamofobia, che riguardano in modo particolare le persone riconoscibili come appartenenti alla fede islamica. In questo caso bersaglio facile per gli haters sono le donne e le ragazze che indossano l’hijab, indumento che può causare difficoltà nell’avere un lavoro oppure imposizioni di indossare un particolare abbigliamento sempre sul posto di lavoro.

C’è poi l’odio di genere (il 6,8% delle donne ha avuto proposte inappropriate o commenti osceni o maligni sul proprio conto attraverso i social) che colpisce in particolare la comunità Lgbtqi+. In questo caso la commissione sottolinea la carenza di una legislazione che preveda specifiche forme di protezione, carenza resa ancora più evidente dall’affossamento in Senato della legge contro l’omotransfobia.

«Il fenomeno migratorio e i cambiamenti etnici delle nostre società – denuncia infine la commissione – hanno molto stimolato la crescita dei crimini di odio così come nel corso del primo lockdown il fenomeno è dilagato quando, alla profonda incertezza economica si è associata quella sanitaria». In questo caso vittime degli haters sono stati i migranti di origine asiatica, non solo cinese.