«Il giorno del golpe fallito, il signor Leopoldo López, che si suppone essere il leader della opposizione, si è esiliato nell’ambasciata spagnola con tutta la sua famiglia. Quando a Guaidò, personalmente non so dove sia». Così padre Pablo Uruquiaga Fernández, raggiunto a Caracas. Nato nel 1945 a Pinar del Río, Cuba, è dal 1968 in Venezuela. Ha studiato all’Università cattolica Andrés Bello e dal 1980 è parroco della chiesa «La Resurrección del Señor», a Caricuao, quartiere di Caracas abitato da classi medio-basse.

In questi giorni drammatici cosa ha detto la gerarchia della Chiesa venezuelana?
Per ora, silenzio totale. La gerarchia non si è pronunciata. Non si chiede che i vescovi si schierino a favore del governo. Ma che almeno si pronuncino su questo tentativo di colpo di stato. Che si esprimano sull’utilizzo della violenza per prendere il potere politico. Si dovrebbero ricordare un principio cristiano: il fine non giustifica i mezzi. Io prego per loro.

Dal golpe dell’aprile 2002 al golpe dell’aprile 2019 la gerarchia cattolica locale pare dunque mostrare una continuità di comportamento?
Direi che contro Maduro l’atteggiamento è, se possibile, ancora più radicale di quello tenuto contro Chávez. I suoi esponenti sono convinti che la situazione non cambierà e che la sola soluzione è che il presidente se ne vada. Ma la cosa più triste è che alcuni (non tutti) stanno sostenendo la posizione di Guaidó in modo palese e di parte. Dal momento che si è schierata la nostra alta gerarchia, con alcune eccezioni, non è qualificata per essere «arbitro» in questa controversia. È triste vedere vescovi che parlano di dialogo e pace ma poi si schierano con chi vuole un intervento militare straniero.

Sembra però che il papa e il Vaticano stiano tentando una mediazione…
La posizione del nostro fratello Francesco è sempre stata degna al contrario di quella della gerarchia locale. A miei superiori io ho detto che è importante denunciare gli errori del governo, esercitando il nostro dono profetico, ma ho ricordato che sarebbe altrettanto giusto riconoscerne i risultati. Nei suoi documenti la gerarchia cattolica venezuelana non ha mai riconosciuto le conquiste della rivoluzione a favore dei più poveri. Questa non è imparzialità. Dobbiamo cambiare e migliorare ma non distruggere ciò che è stato raggiunto. Mi viene chiesto: perché questo comportamento? Alcuni prelati sono «risentiti» con il governo perché – a loro dire – non sono stati trattati con «dignità» e i loro privilegi sono stati cancellati. Da qualcuno ho sentito rifiuto e persino rabbia (se non odio) quando chiamavo Hugo Chávez fratello mio, come oggi faccio con Maduro. Ma non sono forse fratelli anche se sbagliano e la pensiamo diversamente da loro?

In questi giorni il mondo è stato sommerso dalle fake news sul Venezuela. E Trump minaccia Cuba per l’appoggio al Venezuela. Che fanno i cubani nel paese?
La loro, in primis, è una presenza per aiuto e solidarietà. Soprattutto nell’ambito delle cosiddette «missioni sociali» che sono la forza principale del processo rivoluzionario bolivariano. In questo momento storico in quasi tutti i paesi dominano le destre. E il Venezuela parla di socialismo del XXI secolo…
La nostra causa ha parecchie cose da correggere perché gli ideali di una società socialista sono molto lontani dalla realtà quotidiana, perché la maggior parte delle persone non è preparata mentalmente. Questo è un processo «verso il socialismo del XXI secolo», che però non è ancora una realtà. Così, quando si dice che il socialismo in Venezuela è fallito è un errore: qui ancora non c’è socialismo. Siamo ancora avvelenati dalla cultura capitalista ed egoista. Lavoriamo per realizzare un cambiamento che è lento ma anche progressivo.

La rivista «Time» ha collocato Guaidó tra i 100 leader politici più influenti al mondo. Che pensa lei di questo 35enne emerso dal nulla?
Guaidó è un personaggio «inedito»: candidato a governatore dello stato di Vargas, perse con ampio margine in favore dell’attuale governatore, Jorge García Carneiro, politico che ha fatto miracoli in uno stato in rovina. Guaidó rimase come «deputato all’Assemblea nazionale» per il suo partito, Voluntad Popular. Poi è stato nominato presidente della stessa. Lui si è autoproclamato presidente ad interim del Venezuela senza alcuna approvazione del popolo. Senza voti. Quindi, quello che ha fatto è stato anti-democratico e anti-costituzionale. Un metodo sbagliato, soprattutto quando sostiene la possibilità che gli Usa ci invadano militarmente, il contrario del sentimento popolare nel 90% del paese secondo gli ultimi sondaggi: la gente vuole risolvere i problemi con la via della pace e respinge con forza la violenza e la guerra.

La grave crisi economica venezuelana è sotto gli occhi di tutti. È stata indotta dall’esterno oppure dipende da errori dal governo?
La crisi economica è stata indotta dall’estero in modo brutale. Non solo tramite l’assurdo embargo decretato dagli Stati Uniti, ma anche con la produzione di iperinflazione. Detto questo, non possiamo tacere i molti errori commessi in materia economica da alcuni ministri (atti di corruzione, in primis) soprattutto con riferimento alla nostra azienda Pdvsa. La politica economica è stata disastrosa e deve cambiare radicalmente. La nostra moneta nazionale è praticamente sul punto di scomparire. Sembra che la proposta del “petro” sia buona ma non funziona ancora a livello di cittadini. Tutto è praticamente «dollarizzato» ma salari e stipendi sono in “bolivar”, che non sono né forti né sovrani. Il salario minimo è di circa 6 dollari al mese. Sono state nazionalizzate industrie private che producevano in abbondanza e con qualità. Molte di esse sono andate in rovina e adesso stanno cercando di vedere se i loro ex proprietari possono riprenderle e rimetterle in produzione. È stato un errore fatale «attaccare colui che produce». Credo che il governo in questo campo debba cambiare radicalmente e lasciare i «fanatismi ideologici». Credo che dobbiamo mantenere tutte le conquiste reali a favore dei più poveri di questa nazione raggiunte con il processo rivoluzionario avviato da Hugo Chávez. Tutto questo è sacro. Deve essere migliorato e reso più efficiente ed efficace, ma per essere in grado di condividere e distribuire equamente in primis è necessario produrre. C’è stata una mancanza di gestione e responsabilità nelle aziende statali.

Qual è la soluzione per uscire da questa condizione di incertezza assoluta e di (quasi) guerra civile perenne?
La soluzione per evitare la guerra civile è cercare la comprensione, il dialogo e infine l’accordo. Ma non con tutti. Soltanto con quelli – dell’opposizione e del governo – che amano questo paese e che dimostrano buona volontà anche se la pensano diversamente.