Lo spunto è la dolorosa perdita da parte dei laburisti del distretto di Hartlepool. Un’altra breccia nel red wall, un altro pezzo del tradizionale insediamento operaio della sinistra inglese che passa ai conservatori. È rimasto ormai solo un “muretto rosso” come ha scritto Clausi sul manifesto, che pure regge se è vero che il voto amministrativo è andato meglio, grazie alla tenuta dei sindaci di grandi città come Londra, Manchester, Liverpool. È come se l’elettorato mandasse un segnale politico alla sinistra, punendola per le sue opzioni strategiche, ma mantenendosi fedele a livello amministrativo.

Una dinamica che abbiamo conosciuto anche nel resto dell’Europa: premiati alle amministrative, puniti alle politiche. Una lezione da non dimenticare mai: la sinistra perde proprio sul punto più importante, quello della capacità di rappresentare gli interessi sociali e di farli vivere in un progetto politico e di governo.

Le cronacche di Clausi trovano conferma nel saggio di Paul Mason sulla rivista International Politics and Society del 10 maggio scorso. Il titolo non è entusiasmante: Labours’s post-mortem, eppure anche lo studioso inglese riscontra che gli elettori che dal 2019 ad oggi hanno abbandonato il Labour non sono andati a destra, ma “just didn’t vote”, semplicemente si sono rifugiati nell’astensione. Anche questa l’abbiamo sentita dalle nostre parti: non c’è una svolta a destra nell’elettorato, ma l’incapacità di riconoscersi nei partiti di sinistra. Il problema non sono gli elettori di sinistra, ma la sinistra.

E ancora: il Labour è andato bene nelle grandi città, dove decide il voto d’opinione, nelle “university towns”, fra le minoranze etniche e nell’universo dei diritti civili. Noi diremmo l’elettorato Ztl. Questo mentre gli operai di Hartlepool votavano per una conservatrice con “zero connection” con il loro territorio (il candidato laburista era invece un medico locale battutosi valorosamente durante la pandemia) e mentre il 25% dei loro bambini “live in poverty”. Non è dunque neanche questione di sistemi elettorali. La qualità del candidato non determina la quantità di consenso. Anche qui: politique d’abord.

Il problema, conclude Mason, è comune a tutti i socialismi europei ed ai “left parties”: ricomporre la frattura fra sociale e politico, voto operaio e voto d’opinione, “small town workers” e “big-city salariat”. Occorre una nuova alleanza, un nuovo “blocco storico” capace di candidarsi credibilmente alla guida dei paesi europei.
È la posizione della sinistra interna del partito laburista, contro la destra dei “Blairites”: un’alleanza elettorale con Verdi e Demo-liberali che potrebbe “destroying Johnson” in un colpo solo.

Ma per questo occorre una sinistra che non perda la sua anima. Che recuperi il senso dell’“own party’s history”, della storia di quello che si è stati; perché se si perdono i propri “punti di riferimento fondamentali” ci si trova dispersi (“lost”) in un mondo incomprensibile, fatto di idee inaudite, dominio della tecnica, populismo ed “hate speech”.

Una lezione che la sinistra italiana dovrebbe mandare a memoria.
Tanto più che Mason riassume il tutto nella formula magica “Ppe (philosophy, politics and economics)”, cioè partire dal sociale, dalla questione economica, ma avendo un pensiero e una visione. Solo di conseguenza una strategia politica.
Per vincere la “battaglia per il programma” si deve prima vincere la “struggle for understanding”. La battaglia delle idee. Gramsci direbbe: la battaglia per l’egemonia.