Richiesta di un immediato cessate il fuoco durante il Ramadan che conduca a un durevole cessate il fuoco sostenibile, del rilascio degli ostaggi, dell’accesso per gli aiuti umanitari, del rispetto del diritto internazionale da parte di tutti gli attori. La risoluzione 2728 approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, con 14 voti a favore su 15, si esprime finalmente in modo chiaro sul che fare di fronte alla «catastrofica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza».

Le scontate reazioni scomposte del governo israeliano, che del resto pochi giorni fa ha definito l’Onu un’organizzazione antisemita, preannunciano l’inosservanza della disposizione. Come è avvenuto del resto per decine di risoluzioni del Consiglio di sicurezza – a cominciare dalla 242 dei 1967 sul ritiro dai territori occupati nella guerra dei Sei giorni – e dell’Assemblea generale, oltre alle sentenze della Corte internazionale di giustizia fino a quella emanata il 26 gennaio sulla base della Convenzione contro il genocidio. Malgrado lo stato di Israele nasca proprio in virtù una risoluzione (la 181/1947) dell’Assemblea generale.

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L’efficace azione militare preparata da anni, la dotazione di armi da parte del blocco filosovietico, l’ignavia della Gran Bretagna nonostante il mandato sulla Palestina, l’acquiescenza degli Stati uniti, la debolezza della resistenza araba hanno permesso al nuovo Stato di conquistare territori ben più ampi di quelli previsti dal piano di spartizione – già molto generoso con gli ebrei – e di cacciare 800mila nativi. La risoluzione 194/1948, che dopo l’omicidio dell’inviato delle Nazioni unite Folke Bernadotte chiedeva il ritorno dei profughi, è stata prontamente ignorata.

La notizia è che gli Stati uniti si sono astenuti, rinunciando finalmente a esercitare il diritto di veto attribuito ai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Si prefigura la crisi della relazione speciale con lo Stato ebraico? Netanyahu potrebbe avere tirato troppo la corda, oltretutto nell’anno cruciale delle elezioni presidenziali. C’è da chiedersi se a questo seguirà l’uso della forma di pressione risolutiva: la sospensione dello straordinario sostegno militare americano a Israele. L’esperienza degli ultimi ottanta anni autorizza il pessimismo, dato che non si è mai vista un’effettiva azione americana per il rispetto del diritto internazionale, delle risoluzioni delle Nazioni unite, dello stesso accordo di Oslo vanificato dalla colonizzazione illegale della Cisgiordania e di Gerusalemme, mentre gli argomenti giuridici israeliani che hanno messo a frutto le ambivalenze dei documenti internazionali sono state in generale sostenute.

E tuttavia la risoluzione 2728 rimanda a un quadro generale. Un sintomo è che l’Assemblea dell’Onu non obbedisce più alle indicazioni che provengono dall’Occidente. Lo si è visto, fra l’altro, quando la risoluzione di condanna dell’aggressione russa all’Ucraina ha visto l’astensione di grandi potenze geoeconomiche e demografiche, dalla Cina all’India, al Pakistan, al Sudafrica, cui si sono aggiunte Brasile, Messico, Indonesia e Malesia, contrarie all’espulsione della Russia dal Consiglio dei diritti umani. Lo si è visto nelle posizioni sul massacro di Gaza e nei ripetuti appelli del segretario generale Antonio Guterres. Certo il Consiglio di sicurezza è l’espressione della struttura gerarchica delle Nazioni unite, che ricalcano il modello della Santa alleanza, come sosteneva Danilo Zolo ormai trenta anni fa, all’indomani della guerra del Golfo, prognosticando la loro non riformabilità.

Eppure c’è un «Sud globale» insofferente alla pratica dei doppi standard e sembra che le Nazioni unite risentano ormai della crisi di quel progetto di ordine mondiale che gli Stati uniti hanno cercato di imporre dopo la fine della Guerra fredda, basato sulla globalizzazione economica, sul loro dominio militare e finanziario, su un ruolo subordinato delle potenze emergenti come produttrici di merci a basso costo nella divisione internazionale del lavoro. Certo si assiste a un’ostinata difesa di retroguardia, dentro la quale rientra probabilmente il ruolo di Israele come gendarme dell’Occidente in Medio oriente. Ma si possono cogliere alcuni segnali di un rinnovato ruolo delle istituzioni internazionali, e del diritto internazionale, come campo di confronto pluralistico, spazio giuridico e politico per la composizione dei conflitti.

Persino nel Consiglio di sicurezza. Potrebbero accorgersene anche i leader europei, se non fossero impegnati a ripetere «se vuoi la pace prepara la guerra».