Per il governo Meloni l’Europa appare sempre di più un cielo gravido di malumori. Dopo il taglio della crescita stimato dalla Commissione Ue, i borbottii contro il commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni che preme per l’adozione di un compromesso sul nuovo patto di stabilità poco gradito a Palazzo Chigi, ieri la Banca Centrale Europea (Bce) ha mobilitato l’artiglieria pesante per colpire la modesta, malconcepita e incerta tassa sugli extraprofitti delle banche annunciata dalla presidente del consiglio Meloni alle prese anche con l’insoddisfazione della parte «berlusconiana» della sua maggioranza.

IL MESSAGGIO è chiaro: si tratta, in primo luogo, di una reazione difensiva e corporativa scatenata dal situazionismo economico di Meloni che deve correre ai ripari e mantenere il punto per dare l’impressione di fare qualcosa contro il caro-mutui – effetto diretto dell’aumento dei tassi deciso dalla Bce – e raggranellare una manciata di denaro per svuotare con il cucchiaino l’oceano del cuneo fiscale. «Non ci sarà una marcia indietro» ha confermato ieri Meloni. Ma c’è la disponibilità a modificare il provvedimento «ma a parità di gettito». Parole raccolte dal vice-premier Antonio Tajani (Forza Italia) con soddisfazione. Servono a tirare fuori il suo governo dal cono d’ombra rispetto agli interessi che tiene a rappresentare.

«L’IMPOSTA straordinaria può rendere più costoso per le banche attrarre nuovo capitale azionario e finanziamento all’ingrosso, in quanto gli investitori nazionali ed esteri potrebbero avere meno interesse a investire in enti creditizi italiani che hanno prospettive più incerte – si è letto nel parere firmato dalla presidente Christine Lagarde – L’introduzione di una imposta retroattiva ad hoc aumenta indebitamente l’incertezza sul quadro fiscale, danneggiando la fiducia degli investitori e influenzando potenzialmente anche il costo del finanziamento per le società non finanziarie. Inoltre, la sua natura retroattiva può alimentare la percezione di un quadro fiscale incerto e dar luogo a un ampio contenzioso, creando problemi di incertezza giuridica».

LA «CAUTELA» alla quale l’intero consiglio direttivo della Bce ha richiamato il governo rientra nel mandato di Francoforte che deve vigilare sulle banche. Il messaggio inviato agli italiani non è l’unico. Di recente è stato inviato anche alla Spagna e alla Lituania. Colpisce però la ricchezza, e l’accuratezza, di un documento che ha assunto inevitabilmente il sapore di un intervento politico. E attribuisce a una misura una tantum, frutto di un populismo d’occasione più che di un vero progetto, il rischio di compromettere la capacità delle banche italiane di costituire «solide basi patrimoniali e di effettuare adeguati accantonamenti», per eventuali futuri «deterioramenti del credito».

I PIÙ COLPITI potrebbero essere i piccoli istituti di credito, quelli che hanno minore solvibilità, che sono maggiormente concentrati sull’erogazione del credito oppure “che hanno proiezioni patrimoniali impegnative potrebbero vedere ridotta la loro capacità di assorbire potenziali rischi al ribasso di una recessione economica».

ATTRIBUIRE a possibili entrate da 2,5-2,8 miliardi da sottrarre a profitti previsti per 40 miliardi di euro nel 2023 simili rischi può apparire, in effetti, un po’ enfatico. Così come la possibilità paventata di mettere a rischio la trasmissione della politica monetaria. O la «fiducia degli investitori».

QUELLE DELLA BCE, al momento, sembrano essere più conseguenze ipotetiche che effetti reali di una proposta talmente fumosa da non essere stata nemmeno accompagnata da una relazione tecnica dalla quale si potrebbe dedurre sia il perimetro nel quale il «decreto-legge» sarebbe applicato, sia l’importo effettivo. Per chiarire i dubbi la Bce ha chiesto al governo almeno una traccia di analisi sull’impatto sulla redditività a lungo termine, sulla base patrimoniale, sull’accesso ai finanziamenti e sulla concessione di nuovi prestiti, sulle condizioni di concorrenza sul mercato e sul mercato delle liquidità.

SUL FRONTE INTERNO i dubbi della Bce hanno rafforzato la fronda contro la tassa. Quella dell’Associazione bancaria italiana (Abi) che l’altro ieri, nel corso di un’audizione parlamentare ha ravvisato aspetti «anti-costituzionali» nel provvedimento. È stata citata la cosiddetta «Robin tax» sull’addizionale Ires sul settore energetico bocciata dalla Corte costituzionale nel 2015. Un rischio contenuto nell’articolo 26 del decreto legge sugli extraprofitti delle banche che assume a base imponibile l’intero margine di interesse senza una verifica della relazione con i suddetti profitti. In più ci sarebbe anche una «lesione del diritto di proprietà» derivante dal «carattere espropriativo» della misura immaginata dal governo. In più la norma avrebbe effetti «discriminatori» e penalizzerebbe la «concorrenzialità» delle banche italiane rispetto a quelle europee. In questa prospettiva viene contestato anche il concetto di «extraprofitti».