«Consumo, dunque sono». Zygmunt Bauman sintetizza così un pilastro del sistema e al tempo stesso un elemento identitario: nella modernità liquida, con la perdita delle certezze si è passati dalla società dei produttori (etica del lavoro per fabbricare beni durevoli e soddisfare bisogni reali) a quella dei consumatori. E la cultura del consumare è al centro del saggio Società dei consumi e sostenibilità. Una prospettiva psico-culturale di Bruno Mazzara, docente di psicologia dei consumi all’università La Sapienza di Roma.

IN UN EXCURSUS anche storico, l’autore esamina le interconnessioni fra le dinamiche sociali, economiche, politiche, geopolitiche e quelle psico-culturali (spesso sottovalutate) che ostacolano il cammino teorico e concreto verso una società ecologica, partendo da una società dei consumi che ha prodotto vantaggi ma «ha comportato e comporta tre ordini di problemi: disuguaglianza sociale, ripercussioni sull’ambiente, impatto sugli effettivi livelli di felicità e soddisfazione delle persone». Già: come spiega Eric Fromm, è fallita la grande promessa «della massima felicità per il massimo delle persone e di una illimitata libertà». L’insoddisfazione diffusa e le dinamiche di competizione prodotte dal consumismo giustificano uno specifico filone di ricerca sul rapporto fra felicità ed economia.

LA «SOCIETÀ DELL’OPULENZA» (J.K. Galbraith) è ricca di questi paradossi. Aggravati dal fatto che il fenomeno coinvolge solo una parte della popolazione mondiale ma impatta su tutti, in termini di sfruttamento umano, inquinamento e alterazioni climatiche. A introdurre il tema dei bisogni indotti – che poi sarà centrale in tutte le teorie critiche sulla società dei consumi-, è Karl Marx. E l’analisi sul valore d’uso e il valore di scambio è una pietra di fondazione per le letture sulla società dei consumi da parte delle scienze sociali. Marx ed Engels (ripeteva Giorgio Nebbia) avevano chiare le colpe del capitalismo nella rottura fra umani ed equilibrio naturale.

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Su questa scia nasce il filone dell’ecosocialismo avviato da André Gorz. Una delle più rapide e vaste trasformazioni sociali e culturali della storia umana, la «cultura del consumo», prende avvio in Europa con la rivoluzione industriale (e capitalistica). Ma è negli Stati uniti che diventa parte integrante del sogno americano – anche da parte delle classi meno abbienti). La «repubblica dei consumatori», l’American way of life: riferimento planetario, valoriale e comportamentale, indice della superiorità di quel modello (nell’Urss, invece, scaffali vuoti). Con Vance Packard, poi, si sviluppa la critica alla società dei «persuasori occulti» (marketing, mode finalizzate all’obsolescenza programmata) e al ruolo dei mezzi di comunicazione (nient’affatto indipendenti).

Al passaggio dall’essere all’avere (la prima fase del dominio dell’economia sulla vita) si aggiunge quello dall’avere al sembrare, in uno «pseudo-mondo» che quasi sostituisce la realtà. E poiché la cultura del consumo (mutazione antropologica pervasiva, secondo Pasolini), si innesta quasi in ogni cultura locale, è arduo concepirne una radicale trasformazione.

MA COME DIFFONDERE un modello di consumo adatto alle urgenze ecologiche e sociali, quando la gravità della situazione non ottiene vera attenzione da parte dell’opinione pubblica e – conseguentemente – dal mondo dei decisori, mondo anche delle leggi? Il testo analizza soprattutto le barriere e i condizionamenti (tanto più al tempo di Internet) che ostacolano la consapevolezza e la comunicazione dell’«impensabile»: la spada di Damocle climatica – in Occidente non ancora sufficientemente minacciosa, ai più.

LA SOLUZIONE ALLA CRISI ambientale non verrà da tecnologie salvifiche, ma dal superamento di un modello di sviluppo basato sulla crescita infinita e sull’accumulazione capitalistica. Un modello fortemente radicato anche nella nostra vita mentale. Dunque, per ispirare il cambiamento occorrono norme e valori percepiti come ampiamente condivisi e quindi potenziale fonte di approvazione sociale. Per rendere pensabile e attrattivo un modello diverso di vita e società occorre affrontare gli ostacoli psico-culturali, con gli strumenti propri delle scienze sociali.