La guerra nell’ex Jugoslavia è ormai finita da quindici anni, ma i disastri che ha provocato sono ancora presenti, riflessi in parecchi film di quell’area, un tempo cinematografia unita pur nelle diverse e particolari caratteristiche. Emir Kusturica, un outsider, maestro incontrollabile, non costruisce certo racconti sotterranei o disagi tenuti sotto controllo che poi esplodono all’improvviso. Nel suo cinema la deflagrazione è immediata, le allusioni si potranno trovare a profusione all’interno delle scene, lui non è fatto per sussurrare.
Il suo compianto lo ha già osservato con il silenzio di più di otto anni, con quel cortometraggio di penitenza nell’opera collettiva Words with Gods dove lui stesso interpretava un monaco ortodosso che trasportava su per la montagna sacchi pieni di pietre, poi le depositava lì, meditava e discendeva a valle. «Nel mio nuovo film racconterò l’antefatto di Our Life» diceva annunciando il suo nuovo On the Milky Road ora a Venezia (dove vinse il Leone d’oro nell’81 con Ti ricordi Dolly Bell?).

Il film è basato, si legge in apertura, su tre storie vere e molta fantasia. Nel piccolo villaggio dove la guerra non ha cambiato le abitudini della gente che non si sente neanche oggetto di quelle sparatorie, il lattaio Kosta (lo stesso Kusturica) trasporta il latte a dorso di asino riparandosi con un ombrello più dal sole che dalle pallottole. Un tripudio di animali invade la scena sotto lo sguardo vigile del falco pellegrino che fa pensare subito a Banovic Strahinja (il Falcone, 1982) di Mimica dove la strage si compiva in un villaggio ai tempi del Medio Evo e una donna era rapita. Qui la donna (Monica Bellucci) è un’italiana che fugge dalla vendetta di un generale, contrattata da un sensale per essere data in moglie a un eroe di guerra, ma tra lei e Kosta uomo dal tragico passato è amore a prima vista, giocato con un lentissimo avvicinamento.

Tutto questo in un turbinio di eventi, mentre intorno si continua a sparare, il maiale è ammazzato e le bianchissime oche si bagnano nella vasca piena di sangue, un serpente provoca osservazioni teologiche, un gigantesco orologio asburgico cerca di stritolare nei suoi ingranaggi chi lo vuole far funzionare secondo le regole, una vecchia gioca al videopoker, la campionessa di ginnastica ritmica dell’84-85 decide di sposare Kosta lo stesos giorno in cui suo fratello l’eroe sposerà l’italiana. Come in Dolly Bell la canzone chiave era 24 mila baci qui Bellucci sussurra La più bella del mondo, la canzone di Marino Marini che fece superare spensieratamente il nostro dopoguerra, evocazione di un’epoca felice ed effimera. I trattati di pace sono fatti per essere infranti, i matrimoni non si faranno e la distruzione avanzerà implacabile cancellando ogni possibile speranza. Kusturica definisce se stesso un «mago del circo», e bisogna dire che una prima magia l’ha compiuta su Monica Bellucci, oltre a far rispondere ai suoi desideri orsi, serpenti, oche e galline, tutto un mondo naturale che si muove parallelamente alla follia degli uomini.

La materia delle sue scene è densisisma di riferimenti, da Balabanov di Quando volano le cicogne del ’57 legato anche questo ai ricordi di una guerra ancora non dimenticata (fa parte della sua top ten) c’è un po’ di Arthur Penn, Vigo, la Bibbia e l’Odissea, parecchio cinema ceco che fu, alla Famu, punto di riferimento della sua formazione.