Alcuni giorni fa, una ventina di manifestanti giapponesi e birmani hanno organizzato una manifestazione davanti al ministero degli esteri di Tokyo e consegnato una lettera ai funzionari del governo, per chiedere l’immediato rilascio del giapponese Toru Kubota e degli altri prigionieri politici attualmente detenuti nella prigione di Insein, a Yangon. Kubota, video giornalista e documentarista, è stato arrestato dalle forze di sicurezza birmane lo scorso 30 luglio, mentre filmava le proteste contro la giunta militare a Yangon, conseguenza del colpo di stato con cui le forze armate hanno preso il controllo del Paese asiatico lo scorso 21 febbraio.

LA GIUNTA militare afferma che il documentarista sarebbe entrato nel Paese attraverso la Thailandia usando un visto turistico e che avrebbe non solo partecipato e filmato una manifestazione anti-governativa, ma anche attivamente comunicato ed aiutato gli attivisti. Altre accuse rivolte a Kubota sono quelle di essersi occupato, nel recente passato, della minoranza musulmana dei Rohingya, attraverso dei video reportage usciti negli scorsi anni. La carriera di documentarista di Kubota inizia proprio dopo l’incontro fortuito con alcuni rifugiati Rohingya verso il 2014, quando da studente di scienze politiche decide di intraprendere la carriera di video giornalista e documentarista.
Del 2019 è il cortometraggio Empathy Trip, in cui segue il viaggio di Swe Win, pacifista buddista che dalla Birmania parte per il Bangladesh per incontrare e alcuni membri della minoranza perseguitata, al tempo, dal governo eletto dopo le elezioni del 2015. Chiunque cerchi di aiutare i Rohingya, si evince dal documentario, viene etichettato e trattato come un terrorista, parola spauracchio che viene sempre di più usata a sproposito e abusata. Nel breve cortometraggio si vede anche come le operazioni militari contro questa minoranza e chiunque si opponga al governo si stavano sempre di più intensificando e inasprendo, le immagini furono filmate tra il 2017 e il 2018. La copertura mediatica Birmana manipolata dal governo descrive i Rohingya come un’interferenza politica da parte del Bangladesh, in questo modo creando un senso di paura e provocando un rafforzamento del nazionalismo nel paese.
Laureato alla prestigiosa Keio University della capitale e con un master alla University of the Arts di Londra, Kubota, durante questi ultimi anni, ha anche collaborato con vari siti di informazione e alcune reti televisive satellitari, come Al Jazeera ad esempio.

DURANTE gli ultimi due anni, bloccato nell’arcipelago, Kubota ha rivolto lo sguardo e la videocamera verso i senza tetto o coloro che sono stati più colpiti dal Covid e dalle conseguenze economiche derivate dalla pandemia. Inoltre nel 2020 il giovane giapponese ha co-fondato DocuMeme, un collettivo di artisti ed attivisti che cerca di portare alla luce e dare spazio e voce a chi di solito non ne ha, attraverso brevi video e meme appunto.
Le manifestazioni per la liberazione di Kubota, i messaggi di sostegno fino ad ora arrivati e gli sforzi della diplomazia giapponese non sono stati però sufficienti a cambiare la situazione, che nelle ultime settimane si è fatta ancora più grave. Kubota è stato infatti giudicato colpevole e nei primi giorni di ottobre, un tribunale sotto il controllo della giunta militare lo ha condannato ad un totale di 10 anni di carcere. Per di più il 20 ottobre è avvenuta una forte esplosione nella prigione in cui è detenuto che ha causato otto vittime e numerosi feriti, secondo le agenzie di stampa, per fortuna il giapponese non dovrebbe essere stato ferito, ma la preoccupazione rimane sempre molto alta.

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