Ieri a Kiev è stato il giorno del summit sulla sicurezza alimentare, organizzato nella giornata del ricordo delle vittime dell’Holodomor: la carestia causata dall’Unione sovietica in Ucraina che ha fatto milioni di vittime fra il 1932 e 1933. Al vertice – al quale oltre al presidente ucraino Zelensky hanno partecipato di persona i primi ministri di Belgio, Polonia e Lituania e la presidente ungherese Katalin Novak – è stata lanciata l’iniziativa Grain from Ukraine, attraverso la quale l’anno prossimo l’Ucraina spedirà 60 navi cariche di grano ai paesi più esposti al rischio di carestie tra cui il Sudan, lo Yemen, la Somalia e l’Etiopia. La cifra raccolta per l’iniziativa da oltre 20 paesi, ha detto Zelensky all’incontro – al quale hanno partecipato virtualmente anche il presidente francese Emmanuel Macron e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – supera i 150 milioni di dollari, e ha aggiunto che l’impegno del suo Paese a combattere la fame non si riduce a «vuote parole». In un comunicato, il segretario della Nato Jens Stoltenberg ha lodato l’iniziativa e l’impegno della Turchia a prorogare l’accordo per far transitare le navi cariche di cibo e fertilizzanti sul Mar Nero. «Oggi – ha aggiunto Stoltenberg – la Russia usa la fame come arma contro l’Ucraina. E per creare divisioni e aumentare l’instabilità nel resto del mondo».

NON SOLO LA FAME: un grafico realizzato dal Guardian mostra il progredire dell’illuminazione dell’Ucraina dall’inizio della guerra lo scorso febbraio: oggi il Paese appare come una macchia buia in mezzo alle migliaia di nodi luminosi che attraversano le nazioni confinanti. E proprio sulle infrastrutture elettriche si è consumato ieri un attrito fra il sindaco di Kiev Vitali Klitschko e Zelensky, il quale ha dichiarato – senza mai menzionare apertamente il primo cittadino – che «i residenti di Kiev hanno bisogno di maggiore protezione» e gli sforzi per ripristinare le infrastrutture devono essere più celeri dato che molti abitanti della capitale «sono senza luce da oltre 20 o 30 ore». Ieri invece, a quanto dichiarato dall’ufficio della presidenza, l’elettricità stata ripristinata nella città liberata di Kherson, e verrà fornita alle infrastrutture critiche e subito dopo ai residenti. In città sono 32 le vittime fatte dai bombardamenti russi dal ritiro delle truppe di Mosca il 9 novembre, ha reso noto il capo della polizia nazionale ucraina Ihor Klymenko.

IERI È STATA anche la giornata dei sospetti e le dietrologie scatenati dalla morte improvvisa (e dalle cause ancora ignote) del ministro degli Esteri bielorusso Vladimir Makei, che lunedì avrebbe dovuto incontrare il suo omologo russo Sergei Lavrov e appena tre giorni fa aveva partecipato a un summit sulla sicurezza di paesi ex sovietici a Yerevan, in Armenia. Della sua morte ha dato notizia uno scarno comunicato dell’agenzia statale bielorussa Belta: «il ministro degli Esteri Vladimir Makei (che aveva 64 anni, ndr) è improvvisamente venuto a mancare». «Siamo scioccati dalla notizia» è stato il commento della portavoce degli Esteri russa Maria Zakharova, mentre l’ex leader dell’opposizione bielorussa in esilio Sviatlana Tsikhanouskaya lo ha definito un «traditore» del suo popolo e «un sostenitore della tirannia» per la sua posizione contro le proteste antigovernative del 2020.

ALLA VIGILIA della guerra Makei aveva garantito che dal territorio della Bielorussia non sarebbero giunti attacchi all’Ucraina, venendo smentito pochi giorni dopo dal passaggio delle truppe russe dal Paese. Ma i soldati di Minsk non sono mai entrati boots on the ground in Ucraina: secondo un tweet del consigliere del ministero dell’Interno di Kiev Anton Gerashchenko la morte di Makei – che «secondo delle voci potrebbe essere stato avvelenato» – sarebbe un segnale di Mosca al presidente bielorusso Lukashenko.