Il numero delle vittime sta rientrando nei ranghi: la cosiddetta mortalità in eccesso, le eccedenze di decessi rispetto alla media stagionale, sono le più basse dall’inizio della pandemia. Ma resta il primato, macabro, nelle odiose classifiche nazionali. I suoi circa cinquantamila morti – finora confermati dall’Istat britannica, l’Office for National Statistics – fanno della Gran Bretagna il paese al mondo con più vittime di Covid-19, secondo solo agli Stati uniti, che guidano la staffetta pandemico-atlantica con oltre centomila. Cifre che, anche senza l’altra decina di migliaia sfuggite alla conta – ma che è ragionevole aggiungere – confermano l’inveramento delle previsioni fatte da analisti ed epidemiologi americani secondo cui le vittime sarebbero state tra le sessanta e settantamila entro l’inizio di agosto. Oltre il sessanta per cento di queste morti è avvenuto negli ospedali e circa un quarto del totale nelle case di riposo.

A Londra si è fatto registrare un calo netto di nuovi casi, e non c’è stato un temuto secondo picco, ma nel nordovest e nordest dell’Inghilterra il tasso di nuove infezioni è tra i più alti del paese. Cifre devastanti, che emergono mentre l’organo di controllo delle statistiche criticava severamente il ministro della sanità Hancock per la disinvoltura usata nel riportare altre cifre, quelle dei tamponi effettuati finora, che domenica scorsa lo stesso Hancock aveva fissato attorno ai 200mila al giorno, come s’era prefissato ed aveva promesso. Una cifra gonfiata includendo i tamponi non ancora effettuati o non del tutto completi, perché in transito verso i laboratori. Il governo aveva dato una spintarella alle cifre già alla fine di aprile, quando il traguardo fissato era di 100mila al giorno e dopo feroci polemiche circa la scarsità di materiale sanitario negli ospedali. Senza bisogno di aggiungere che la risposta iniziale del governo alla pandemia è stata tardiva e confusa.

Gli strati più deboli della società britannica sono stati anche i puntualmente più colpiti, in testa gli appartenenti alle cosiddette minoranze etniche e le persone diversamente abili.

Boris Johnson, dopo esser riuscito a superare la bufera sul suo fido e arrogante scagnozzo delle Pr Dominic Cummings, rimasto impenitente al suo posto dopo aver violato il confinamento a zonzo sui sedili in pelle della sua Range Rover in faccia a milioni di concittadini sull’orlo del baratro nervoso, ha iniziato un rilassamento del lockdown contro il parere dei principali epidemiologi dello stesso gruppo Sage che gli fa da consulente, con in prima linea Chris Witty (anche lui contagiato dal virus come il premier ma in misura assai più lieve). Lunedì il rilassamento delle misure annunciato già lo scorso dieci maggio da Johnson è entrato in vigore e i mercati all’aperto e le scuole elementari sono di nuovo in funzione, con la clausola di fare un drastico dietrofront nel caso di un nuovo picco.
Ma il paese non è ancora al terzo dei cinque livelli di allerta coronavirus, denominato “virus in circolazione generale” a cui fare fronte con un “graduale rilassamento delle restrizioni” e il cui raggiungimento era stato considerato dal governo come pregiudiziale per l’inizio del rilassamento del lockdown.

Johnson si è infischiato del parere degli esperti espressisi contro il passaggio al livello tre ed ha comunque cominciato a mollare la presa, creando tensioni fra i vari organi di consulenza scientifica attorno al governo, una graduale riapertura difforme dalle decisioni prese dalle devolute Cardiff, Edimburgo e Belfast: Galles, Scozia e Irlanda del Nord non hanno ancora riaperto le scuole. Altre polemiche ha inoltre destato la misura di quarantena di due settimane per chiunque rientri da ovunque in Uk, entrata in vigore sempre lunedì ma considerata del tutto inapplicabile e non solo da coloro che penalizza – le già disastrate linee aeree e industria dell’ospitalità – per mancanza di agenti di polizia in grado di imporla.