Intensa e incessante prosegue l’offensiva diplomatica di Israele per bloccare o modificare radicalmente l’intesa internazionale, ormai vicina, per il rilancio del Jcpoa, l’accordo del 2015 sul programma nucleare iraniano. Accordo voluto anche dall’ex presidente Usa Barack Obama, ma da sempre contestato da Israele, che Donald Trump abbandonò nel 2018 imponendo pesanti sanzioni che strangolano l’economia dell’Iran. Come l’ex premier Netanyahu, anche l’attuale primo ministro israeliano Yair Lapid ha fatto della lotta all’accordo la sua battaglia. Dopo la visita a Washington del ministro della difesa, Benny Gantz, e del consigliere per la sicurezza nazionale, Eyal Hulata, tra qualche giorno toccherà al capo del servizio segreto Mossad, David Barnea, provare a convincere gli Stati uniti a non dare luce verde all’accordo. Quindi, il 20 settembre potrebbe esserci un faccia a faccia tra Lapid e Joe Biden. Il presidente Usa, il mese scorso in Israele, ha affermato che gli Usa faranno di tutto per impedire che l’Iran ottenga la bomba atomica. Lapid sostiene che l’accordo in cantiere non rispetterebbe la promessa americana.

Contro il nuovo Jcpoa – al quale lavora soprattutto l’Unione europea – si è scagliato ieri anche il capo dello stato israeliano Isaac Herzog durante la sua visita in Svizzera. Ma è Lapid che si è spinto ancora più avanti esortando gli Usa e i paesi occidentali a mettere sul tavolo «una minaccia militare credibile» per spingere Teheran a fare più concessioni. Lapid ha rivelato che «Le forze di difesa israeliane e il Mossad hanno ricevuto istruzioni per prepararsi a qualsiasi scenario. Saremo pronti ad agire per mantenere la sicurezza di Israele. Gli statunitensi lo capiscono, il mondo lo capisce e anche la società israeliana dovrebbe saperlo». In altre parole, Israele non si ritiene vincolato al possibile accordo ed è pronto, se lo deciderà, a lanciare l’attacco militare all’Iran al quale si prepara da anni.

Secondo Israele, che segretamente è l’unica potenza atomica in Medio oriente e non ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, il rilancio del Jcpoa non impedirà all’Iran di produrre una bomba atomica minacciando così l’esistenza stessa dello Stato ebraico, nemico della Repubblica islamica. La revoca delle sanzioni economiche, aggiunge, darebbe all’Iran accesso a risorse per «finanziare il terrorismo». Da parte sua Teheran nega di volersi dotare dell’arma atomica e insiste che il suo intento è solo quello di produrre energia e di fare ricerca scientifica. Ieri il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, è apparso ottimista sulla possibilità di arrivare all’accordo e ha avvertito che il suo paese infliggerà una punizione durissima a Israele se proverà ad attaccare le centrali nucleari iraniane.

Due giorni fa il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato presunti dettagli di una bozza dell’accordo. Il testo prevede quattro fasi per il controllo delle attività nucleari dell’Iran e la revoca delle sanzioni, con la quarta e ultima fase che entrerà in vigore 165 giorni dopo la firma dell’accordo. Prima della firma Teheran scarcererà alcuni cittadini occidentali, in cambio saranno scongelati i beni iraniani in Occidente. La prima fase vedrà l’Iran frenare l’arricchimento di uranio. Nella seconda l’Amministrazione Biden porterà l’accordo al Congresso per l’approvazione. La terza vedrà Washington notificare all’Onu e all’Agenzia per l’energia atomica (Aiea) la sua decisione di aderire di nuovo al Jcpoa. Nella quarta fase gli Stati Uniti torneranno formalmente all’accordo e saranno rimosse numerose sanzioni contro l’Iran.