Niente più angeli celtici del focolare. La casalinga irlandese costituzionalmente intesa sarà cosa del passato, almeno a parole. Leo Varadkar, il premier irlandese, ha annunciato ieri un referendum, da tenersi il novembre prossimo, che punta a riformare la costituzione nazionale – vergata nel 1937 da Eamon de Valera – in senso paritario. Due articoli in particolare saranno presi di mira e assai presumibilmente riscritti, il 40 e il 41, facenti riferimento alla casa come il luogo “naturale” della donna.

Il primo dice che l’Irlanda riconosce che «con la sua vita all’interno della casa, la donna dà allo Stato un sostegno senza il quale il bene comune non può essere raggiunto» e che «le madri non devono essere obbligate dalla necessità economica a impegnarsi nel lavoro trascurando i loro doveri domestici». Nel 2021 una speciale assemblea cittadina di 93 membri – un forum utilizzato per discutere le modifiche costituzionali, ha raccomandato di rimuovere i riferimenti alla casa come il posto “naturale” di una donna e di sostituirli con un linguaggio non discriminatorio e neutro dal punto di vista di genere. Il merito degli emendamenti è tuttora in discussione e sarà reso pubblico entro la fine di giugno. Non sarà l’unico quesito referendario: il paese sarà chiamato a esprimersi, tra le altre cose, anche sulla proprietà pubblica dell’acqua.

La costituzione irlandese ha ottantasei anni e, a giudicare da passaggi come il succitato, li dimostra tutti. Dei doveri maschili, in essa, nemmeno l’ombra, e non del tutto sorprendentemente. La sua riforma procede di pari passo con la liberalizzazione e la secolarizzazione di uno dei paesi un tempo più cattolici d’Europa, che attraverso una ridda referendaria (finora 38 referendum in tutto) ha rimosso dal testo il divieto di aborto e introdotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Che a dare l’annuncio ieri fosse lo stesso Varadkar, il primo leader nazionale apertamente gay e di origini extraeuropee, dimostra i passi in avanti fatti finora. «Fino a quando non ci sarà piena uguaglianza tra uomini e donne saremo una repubblica incompiuta», ha detto. Il governo si era impegnato a convocare la consultazione nel 2016.

L’articolo incriminato era legato all’ancora più discriminatorio marriage bar ovvero la clausola che dagli anni Venti al 1973 obbligava le donne impiegate in determinati lavori di pubblica amministrazione ad abbandonarli immediatamente in caso di matrimonio. Il sacrosanto afflato riformista ha una connotazione di classe, ovviamente: media. Né sembra tenere conto del fatto che per decenni molte, moltissime donne di estrazione operaia fossero costrette a lavorare. Ciò non toglie naturalmente che la costituzione di De Valera rifletta la misoginia strutturale dei padri costituenti. Se n’era senz’altro già accorta la suffragetta e nazionalista irlandese Hanna Sheehy Skeffington, che aveva definito la costituzione un «modello fascista in cui le donne saranno relegate all’inferiorità permanente».