Sì e sì. Sono i due esiti (non) scontati che si auspicano nei due referendum tenutisi ieri in Irlanda e di cui si sta effettuando lo spoglio in queste ore. Il governo del paese ha scelto l’otto marzo come data della doppia consultazione che punta a svecchiare l’ottantasettenne Costituzione di de Valera (1937) in tre cruciali segmenti del vivere civile: il ruolo della donna, il valore del matrimonio e la fornitura di cure familiari in una società che invecchia.

LO SCOPO DEL GOVERNO di centro destra presieduto da Leo Varadkar è quello di espungere dal testo costituzionale i suoi aspetti più retrivi e discriminatori, che a tutt’oggi riflette la forte influenza della chiesa cattolica e di una cultura costitutivamente sessista.
Gli articoli presi di mira e sulla cui riscrittura i tre milioni e mezzo di cittadini aventi diritto è chiamato a pronunciarsi sono il 41.1 e il 41.2., facenti riferimento alla casa come il luogo «naturale» della donna. Il primo, il referendum sulla «famiglia», propone di modificare l’articolo 41.1 della Costituzione per ampliare il riconoscimento statale della famiglia come fondata non solo sul matrimonio ma anche su «altre relazioni durature» e di «convivenza fra coppie o con i figli». Il secondo, detto delle «cure familiari», propone di eliminare l’articolo 41.2, che riconosce il contributo della vita di una donna all’interno della casa al bene comune e prevede che lo Stato «si sforzi» di garantire che le madri non siano obbligate per necessità economica a lavorare fuori casa.

L’Irlanda è rinomata in Europa per il proprio ripetuto ricorso all’istituto referendario grazie al quale, da fanalino di coda civile nell’Europa del dopoguerra è divenuta modello di tutte le altre democrazie liberali, grazie soprattutto al referendum che ha legalizzato i matrimoni fra persone dello stesso sesso nel 2015 e quello con cui si è finalmente data l’aborto nel 2018. E, come per i precedenti, anche per questi due referendum sarebbe lecito attendersi un altrettanto convincente balzo in avanti civile per la Repubblica. Eppure l’afflusso alla urne ieri sembrava basso e il paese appare privo dell’entusiasmo che ha caratterizzato le precedenti campagne. E poi ci sono le critiche. Che vengono ovviamente da destra per motivi facilmente intuibili. Ma vengono anche dalla sinistra femminista, proprio per l’uso del linguaggio, visto come un diversivo che punta a distrarre dalla latitanza effettiva da parte dello stato rispetto alla propria funzione sociale, sempre più urgente e sempre meno incisiva.

Le parole sono importanti, ma le cose lo sono di più, soprattutto se si guarda all’articolo 42b al quale si spera gli irlandesi diano il proprio assenso. Così com’è, il 41.2 recita: «Lo Stato riconosce che con la sua vita all’interno della casa, la donna dà allo Stato un sostegno senza il quale il bene comune non può essere raggiunto. Lo Stato si impegna quindi ad assicurare che le madri non siano obbligate dalla necessità economica a lavorare trascurando i loro doveri domestici». Mentre quello proposto in sua vece: «Lo Stato riconosce che l’assistenza reciproca da parte dei membri di una famiglia a motivo dei legami che esistono tra loro, fornisce alla società un sostegno senza il quale il bene comune non può essere raggiunto, e si sforza di sostenere tale provvedimento». Scompare la donna “angelo del focolare”, in luogo di un’espressione di genere neutro, ma viene introdotto quel «si sforza» che lascia intendere che lo stato possa anche non farsi carico del sostegno nei confronti delle cure familiari, un aspetto che ha provocato le critiche delle associazione per i diritti dei disabili.

Varadkar, il leader neoliberale di centro gay e di origini asiatiche e portabandiera dei diritti civili, ha deliberatamente omesso di raccogliere il suggerimento della speciale assemblea cittadina di 93 membri – un forum utilizzato per discutere le modifiche costituzionali – e della commissione parlamentare che nel 2021 avevano entrambi proposto una scelta di termini che andasse al di là di quel “si sforza” riguardo al dovere di garantire che le madri non siano obbligate per necessità economica a lavorare fuori casa. Il Sinn Fein, la cui leader Mary Lou McDonald, è gettonata come prossima premier, è favorevole al doppio sì. Qualora vincesse il no, ha promesso di riproporre entrambi nel caso vincesse le prossime elezioni.