Wadi al Salam, la Valle della Pace, cimitero islamico e uno dei più grandi al mondo, con milioni di sepolture. Più di tutto è il luogo dove qualsiasi credente sciita, di qualsiasi parte del pianeta, vorrebbe essere sepolto. Ma i riflessi, sociali e politici, della pandemia del coronavirus si sono fatti sentire perfino in questo cimitero storico che occupa parte della città santa sciita di Najaf. Mentre le misure decise alle autorità sanitarie irachene per contenere la diffusione del contagio sollecitano una sepoltura delle vittime del virus rapida e nel cimitero più vicino, le milizie sciite insistono per trasportare le salme dei loro membri deceduti a causa del Covid-19 da ogni punto del paese fino a Wadi al Salam. Per riconoscimento, spiegano, nei confronti di chi «ha lottato per la causa sciita» e per garantire piena «uguaglianza» a chi non poteva permettersi economicamente di organizzare la sua sepoltura a Najaf.

 

Motivazioni contestate da chi scorge in questa pratica un serio pericolo per la salute pubblica. Molti tra quelli sepolti di recente provenivano dai quartieri di Baghdad più colpiti dal contagio. E sono stati interrati lungo il perimetro esterno del cimitero, quindi a distanza ravvicinata con la parte della popolazione della città che vive a ridosso o dentro il cimitero. Il governatore di Najaf, Louay Al Yasiri, ripete che i morti da Covid-19 dovrebbero essere sepolti nelle loro regioni di origine e ha attribuito al trasporto delle salme a Wadi al Salam uno dei motivi dell’aumento dei contagi a Najaf.

 

Il Medio oriente è una delle aree del mondo dove più rapidamente si sta diffondendo la pandemia. I contagi dal Marocco all’Iran hanno superato il milione (25mila i morti). L’Iraq ha registrato circa 54mila casi positivi e 2160 decessi. Numeri inferiori a quelli reali, avverte Ahmed Al Mandhari, direttore regionale dell’Oms, che ha esortato la popolazione locale a rispettare le misure di contenimento. Tenendo conto anche che due paesi vicini, Iran e Arabia saudita, sono in piena emergenza Covid-19 con circa 400mila casi accertati. Gli ammonimenti di Al Mandhari non sono serviti. Domenica scorsa miliziani sciiti non hanno esitato a violare le restrizioni agli spostamenti pur di seppellire a Wadi al Salam i corpi di 49 loro compagni vittime del coronavirus, 14 dei quali giunti da Baghdad. «È un diritto di ogni sciita essere portato qui dopo la morte, che sia ricco o povero, istruito o ignorante, senza differenza, siamo tutti uguali», ha detto un miliziano delle Unità di mobilitazione popolare a una rete tv locale replicando a chi vorrebbe il cimitero un po’ più «esclusivo».

Wadi al Salam, foto Abdelrahman Rafati/Tasnimnews

 

A Wadi Al-Salam (6 kmq) riposano i resti di milioni di musulmani sciiti tra i quali studiosi, teologi e santi. E naturalmente il califfo Ali Ibn Abi Talib, primo iman sciita che considerava quest’area un  «pezzo di paradiso» individuato, secondo la tradizione, da Abramo. Vi è sepolto anche l’ayatollah Mohammed Baqer Al Sadr, massimo teologo sciita contemporaneo noto per aver operato una sintesi tra Islam e scienza moderna e Islam e democrazia, messo a morte da Saddam Husseini nel 1980. Un cugino di Al Sadr, assassinato nel 1999, era l’altrettanto prestigioso ayatollah Mohammed Sadiq Al Sadr, anch’egli sepolto a Wadi al Salam, e padre di Moqtada Al Sadr, leader sciita un tempo schierato in armi contro l’occupazione americana dell’Iraq e ora protagonista, nel bene e nel male, della politica nazionale. La posizione di Muqtada al Sadr sul coronavirus è oscillata tra l’incoraggiamento ai suoi seguaci ad ignorare le misure annunciate dalle autorità e le espressioni di sostegno al distanziamento sociale. In occasione delle commemorazioni annuali dell’assassinio di suo padre ha bloccato le previste marce con migliaia di seguaci guadagnandosi l’applauso del governatore di Najaf Al Yasiri e la disapprovazione a mezza bocca dei leader delle Unità di mobilitazione popolare.