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Se l’inflazione va a finire nelle tasche della rendita

Se l’inflazione va a finire nelle tasche della rendita – Banksy

Prezzi e profitti In Italia il livello dell’inflazione alla produzione e al consumo diverge via via dall’economia reale, ormai piatta in modo preoccupante; è una differenza che non ha nessuna giustificazione

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 29 giugno 2022

L’analisi economica del nostro Paese negli anni 2000-2020 restituisce qualcosa di anomalo e amaro.

L’inflazione alla produzione e al consumo sono sistematicamente più alte di Germania e Francia. Sebbene in misura più contenuta per i prezzi al consumo e in modo più grave per i prezzi alla produzione, soprattutto rispetto alla Germania.

Ma l’inflazione nazionale (alla produzione e al consumo) non ha nessuna giustificazione economica, al netto del periodo recente su cui vale la pena realizzare delle indagini più accurate. La dinamica dei così detti prezzi nasconde in realtà qualcosa di molto più ingiusto e drammatico.

Trascurando il senso tecnico ed economico dell’inflazione, l’indice dei prezzi dovrebbe misurare un bene equivalente nel tempo e sfido chiunque a trovare un bene che risponda a queste caratteristiche tecniche.

L’analisi di medio periodo dell’Italia è quella di una dinamica dei prezzi forse coerente con quella registrata da Germania e Francia, ma ingiustificata rispetto alla dinamica del Pil, degli investimenti lordi e in capitale e dei salari.

Facendo 100 le ultime variabili considerate (Pil, investimenti lordi, beni capitali, salari di Italia, Germania e Francia), il nostro Paese è rimasto più o meno sui livelli del 2000, nel mentre gli altri due Paesi hanno registrato un certo miglioramento; forse insufficiente ma almeno coerente con la crescita dell’inflazione di Germania e Francia.

In Italia, invece, il livello dell’inflazione alla produzione e al consumo diverge via via dall’economia reale, ormai piatta e in modo preoccupante; è una differenza che non ha nessuna giustificazione.

In realtà, i livelli dei prezzi al consumo e dei prezzi alla produzione, nonostante la caduta di tutte le variabili economiche reali, rispondono a logiche che richiamano non al capitalismo, piuttosto a un sistema familistico che matura profitti sulle rendite e che adegua i prezzi per aumentare i propri margini di profitto senza fare i conti con le attività reali della struttura economica.

Come è stato possibile che i prezzi alla produzione degli investimenti passi da 100 a 122 (2000-2020) quando gli investimenti in macchinari passano da 100 a 105?

Come è stato possibile che l’inflazione al consumo passa da 100 a 132, sempre dal 2000 al 2020, mentre i salari passano da 100 a 102?

Sempre dal lato dell’inflazione al consumo, come è stato possibile che questa arrivi a 132 mentre il Pil passa da 100 a 104 nel 2019?

Se guardiamo ai nudi dati, in Italia non dovrebbe esserci nessuna inflazione, né da domanda né da costi, al netto del recente periodo. Se dobbiamo esplicitare fino in fondo il nostro ragionamento, la minore dinamica inflazionistica intervenuta a partire dal 2011 (sarebbe corretto parlare di deflazione) è legata alla contrazione di tutti i costi e in particolare di quelli legati ai salari e financo agli investimenti ben lubrificati dagli incentivi fiscali che hanno concorso in misura importante.

C’è poi un aspetto ancor più preoccupante: i livelli di inflazione italiani, più o meno in linea con Francia e Germania, associati alla bassa dinamica di consumi e investimenti, suggeriscono che una parte importante di beni capitali e di consumo siano importati. Costi che le imprese scaricano sui prezzi pur di mantenere inalterato il livello dei profitti.

Si fa presto a proporre la riduzione delle tasse, ma una eventuale riduzione delle tasse non farebbe che aggravare la situazione perché l’impresa troverebbe altre vie per aumentare i margini di profitto, mentre il salario avrebbe dei miglioramenti così marginali che non giustificano l’operazione.

Se l’inflazione cresce ai livelli ricordati, il nodo non è legato al livello dei costi di produzione che sono proporzionali ai livelli di specializzazione, piuttosto ai livelli di profitto che la crescita dei prezzi suggerisce.

Abbiamo bisogno di un programma che escluda dal circuito economico tutte quelle persone e società che si fanno largo nel mercato a gomitate senza nessuna morale (teoria dei sentimenti morali di Smith). Al paese servono capitalisti e non rentier.

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