Sono passati due mesi da quando Juan Guaidó si è autoproclamato presidente del Venezuela e, con la benedizione di Trump, ha promesso di cacciare Maduro dal palazzo di Miraflores. Dalla minaccia di una guerra civile il paese è passato alla dura realtà di una guerra di trincea, che torna anche utile alla prossima campagna presidenziele di Trump. Due Venezuela si scontrano: uno guidato dall’erede di Chavez, presidente forse non all’altezza di tale compito ma costituzionale; l’altro che si affida ad un personaggio estratto direttamente dal cappello dei prestigiatori di Usaid (vedi Cia). Una situazione di stallo armato da cui è difficile capire se uno dei due – e chi – avrà la meglio. O se finirà in una catastrofe che avrà ripercussioni in tutto il subcontinente latinoamericano, come Libia e Siria le hanno avute in Medio oriente.

Due mesi fa il fuoco golpista acceso da Guaidó minacciava di diventare un incendio in tempi brevi, sia per la drammatica crisi economica (inflazione biblica, carenza di cibo e medicinali) e sociale (milioni di cittadini emigrati) sia, e soprattutto, per il massiccio intervento degli Usa e dei loro vassalli, locali ed europei. Ma il governo bolivariano è sopravvissuto ai tre tentativi di golpe – l’auto proclamazione di Guaidó; la crisi e minaccia di intervento montati attorno agli «aiuti umanitari» bloccati e incendiati al confine con la Colombia; il devastante black-out che ha lasciato a buio il Venezuela per quasi una settimana e anche ieri ce n’era uno piuttosto grave. In questo periodo Trump e la sua amministrazione di falchi hanno messo in campo tutta l’artiglieria pesante delle sanzioni senza poter abbattere Maduro. Il governo bolivariano, infatti, ha mantenuto l’appoggio di un consistente settore della popolazione e soprattutto degli alti vertici militari, che di tale governo fanno parte integrante – su «modello» cubano. E con il sostegno delle Forze armate il governo bolivariano continua a controllare praticamente tutte le istituzioni.

«Maduro si è reso conto che gli Stati uniti hanno già messo in campo le loro carte migliori e ha cominciato a ideare una strategia di tempi medi» ha affermato la settimana scorsa Christopher Sabatini, professore della Columbia University che studia proprio il Venezuela.

Una strategia che si propone di «creare un sentimento di esasperazione nei confronti delle continue promesse non mantenute di Guaidó, in modo che la gente perda progressivamente la fiducia» nell’autoproclamato presidente, come ha sostenuto Geoff Ramsey, vicedirettore di una Ong di Washington.

Di certo, le sanzioni continuano a atrofizzare la collassata economia del Venezuela. In particolare le importazioni statunitensi di petrolio venezuelano si sono ridotto praticamente a zero. Ma l’appoggio di Russia, Cina, Iran, Turchia aiuta il presidente a trovare mercati alternativi, anche se il greggio deve essere venduto a prezzo più basso.

 

Caracas, 23 marzo, discorso di Maduro durante una manifestazione di sostegno al governo (Afp)

 

L’importante per Maduro è guadagnare tempo. Più passano i giorni meno venezuelani pensano che sia possibile, o conveniente, abbattere il governo con la forza e aumentano i consensi nei confronti di una soluzione non violenta, mediante trattative tra le due parti (secondo Datincorp il 60% della popolazione chiede una soluzione ottenuta mediante accordi).

Anche all’interno dell’opposizione si manifestano dissensi nei confronti della linea di Guaidó, che Enrique Ochoa Antich, dirigente della coalizione Concertación para el Cambio (che raggruppa sette organizzazioni di tendenza socialdemocratica presenti in parlamento, ndr), definisce «estremista». In un’intervista alla tv russa Rt, Ochoa ha affermato che «nell’opposizione esiste una corrente estremista che vuole dare l’assalto al potere e una opposizione democratica che crede nelle trattative e nella via elettorale».

Negli ultimi giorni il presidente Maduro ha messo a segno due mosse politiche in questa direzione.

L’ex premier spagnolo Zapatero (in passato figura di punta di una mediazione internazionale per un dialogo tra governo e opposizione, poi fallita per intervento degli Usa che hanno imposto la linea dello scontro) la settimana scorsa è volato a Caracas probabilmente per sondare se nell’opposizione sia possibile una linea alternativa a quella di Guaidó. Contemporaneamente è stato arrestato l’avvocato Roberto Marrero, «capo di gabinetto» di Guaidó, accusato di far parte di «un gruppo terrorista» – guidato da un agente colombiano – che aveva l’obiettivo «di assassinare Maduro».

Le violente proteste e minacce di «immediate e pesanti ritorsioni» subito espresse dall’Amministrazione Trump hanno provocato un’escalation nell’internazionalizzazione della crisi. Domenica sono atterrati a Caracas due aerei da cargo russi (un Ilyushin Il-26 e un Antonov An-124) con a bordo 35 tonnellate di materiali e un centinaio di militari. E lunedì è stata schierata a protezione della capitale una batteria di missili russi S-300.