I 40 naufraghi a bordo dell’Alan Kurdi sono sbarcati ieri sera a Malta grazie all’accordo siglato tra Berlino e La Valletta, mentre i 121 sull’Open Arms restano senza un approdo. Le prime a toccare terra erano state, all’alba di ieri, le due donne incinte che erano a bordo della nave dell’Ong catalana Proactiva Open Arms, evacuate dalla Guardia costiera italiana a Lampedusa. Persino il Viminale, che ha vietato l’ingresso ai naufraghi, si è dovuto arrendere difronte alle loro condizioni. Jennifer e Marie sono state salvate quando già erano al nono e all’ottavo mese e mezzo. La prima, 32 anni della Nigeria, ha un’ernia addominale, i medici sulla nave le hanno fatto un’ecografia verificando che il bimbo non era in posizione, partorire a bordo sarebbe stato rischioso. L’altra, 29 anni della Costa d’Avorio, è sbarcata con la sorella: anche lei aveva il bambino non in posizione corretta. Ai volontari ha raccontato di essere stata violentata e torturata, il marito ucciso un mese fa, davanti ai suoi occhi, durante il bombardamento del centro di detenzione di Tajoura.

A bordo restano in 121: «Ogni minuto che passa la situazione peggiora», ha spiegato la capo missione Anabel Montes Mier. La nave è in stand by in acque internazionali, il sindaco di Valencia, Joan Ribó, ieri si è dichiarato disponibile ad accogliere la Open Arms, com’era accaduto a giugno 2018 con l’Aquarius di Sos Méditerranée: «Abbiamo un dovere etico e umano nei confronti delle persone che rischiano la vita per fuggire dalla guerra o dalla miseria», ha spiegato Ribó. La giunta municipale, assieme alla Generalitat, solleciterà il governo di Madrid perché apra il porto: «Le vite di queste persone non possono aspettare».

Era arrivata, invece, venerdì notte a 24 miglia da Malta l’Alan Kurdi, dell’Ong tedesca Sea Eye, con i 40 naufraghi salvati mercoledì scorso. Tra loro il piccolo Djokovic, di 4 anni, con una ferita d’arma da fuoco non curata che gli ha procurato un’infezione. In molti avevano i sintomi da stress post traumatico. In serata è arrivato il via libera all’ingresso in porto dei naufraghi attraverso il trasbordo sulle navi della Marina, come annunciato dal premier Joseph Muscat.

La capo missione Barbara Held aveva spiegato: «I libici aveva indicato Tripoli come porto di sbarco, ma non li avremmo mai riportati indietro. L’Italia ci ha consegnato il divieto a entrare nelle acqua territoriali, dicendoci di andare a Malta perché il salvataggio era avvenuto in zona Sar maltese e, se ci fosse servito un medico, di farcelo mandare da La Valletta». Held smentisce la ricostruzione fatta dalle autorità italiane: «Non è vero che eravamo in zona Sar maltese, il salvataggio è avvenuto al largo della Libia. In base alle norme il porto sicuro più vicino era Lampedusa, invece abbiamo dovuto fare un viaggio di 20 ore».

La Sea Eye ieri si era quindi appellata a La Valletta: «Serve una soluzione umanitaria che consenta ai migranti di sbarcare. Siamo pienamente consapevoli che la responsabilità non è di Malta ma dell’Italia». La diplomazia di Berlino ha convinto Muscat, gli stati europei si attiveranno per ricollocarli tutti. In Italia il ministro Salvini continua a ripetere: «Senza permesso da noi non si entra».