Ekaterinburg 17 settembre. Pavel N., 18 anni, studente presso l’Università statale di economia degli Urali viene invitato a recarsi nell’ufficio di presidenza. Qui il vice rettore senza tanti giri di parole lo accusa di «aver scoperto la sua appartenenza al mondo Lgbt» e lo invita a firmare le dimissioni dall’istituto. Lo studente nega ma il vice-rettore dimostra il “crimine” del ragazzo rammentandogli la sua partecipazione a una pagina di un social network per omosessuali.

LA FACCENDA ha un carattere particolarmente odioso perché il dirigente scolastico gli fa capire che la borsa di studio assegnatagli in quanto orfano e residente con la nonna, una povera pensionata, non gli verrà rinnovata. Il giorno dopo il giornale cittadino Ekaterinburg online denuncia l’attacco discriminatorio: Pavel non si è arreso e si è rivolto all’organizzazione di supporto Lgbt che ha reso pubblico il caso e si è rivolta alla magistratura. Secondo il centro risorse per le persone Lgbt cittadino sarebbe «una prassi» di questa università espellere, fare pressione, minacciare tutti gli studenti appartenenti a quella che viene definita eufemisticamente «categoria di individui con orientamento sessuale non tradizionale». La querelle si allarga e finisce sul primo canale televisivo Rossiya1. Il vice rettore dell’università, Roman Krasnov, nega di aver espulso lo studente ma ai microfoni delle tv conferma che «l’Università economica statale degli Urali monitora il comportamento degli studenti nei social. Abbiamo monitorato continueremo a monitorare i social dei nostri studenti. Per una semplice ragione: siamo un’università statale e, di conseguenza, controlliamo il carattere morale dei nostri studenti». Il centro risorse per le persone Lgbt di Ekaterinburg invece conferma la prassi consolidata dell’università a espellere i «presunti gay o lesbiche»: «Pavel è stato l’unico che ha avuto il coraggio di denunciare l’accaduto, ma i casi sono molti». Per l’associazione la situazione in quella università è divenuta «insostenibile». Il fatto stesso di creare «un servizio di monitoraggio sul carattere morale degli studenti» dimostra il carattere omofobo e razzista dei dirigenti universitari. «Proprio così, durante il colloquio il vice-rettore mi ha chiesto perché il mio telefono è di color rosa e se avessi mai conosciuto una “ragazza disponibile” che potesse risolvere il mio “problema”» afferma Pavel.

IERI MOLTI STUDENTI hanno preso coraggio e hanno raccontato sul canale locale EU1 il clima da caccia alle streghe che si respira in università. Come la storia di N. un ragazzo gay che per anni ha dovuto pagare una “retta speciale” a un professore per non essere denunciato alla autorità scolastiche. O la storia di T. minacciata, perseguitata fino al punto di decidere di abbandonare gli studi. O ancora quella di A. transgender, umiliata dall’insegnante in classe e definita «una non persona». Ma soprattutto la storia di G., gay espulso dall’istituto nel 2016 e suicidatosi poco dopo.

Il vice-rettore non batte ciglio: «Si tratta solo di tentativi di mettere l’università in cattiva luce. E per quanto riguarda il monitoraggio sugli studenti, lo perseguiremo anche nel futuro. In fondo lo facciamo nell’interesse degli studenti, non certo per noi!».

IL CASO DI EKATERINBURG però e purtroppo è solo l’ultimo e forse la più clamorosa delle discriminazioni nei confronti degli individui lgbt in Russia. Il parlamento russo ha approvato nel 2013 una legge che vieta la «propaganda dell’omosessualità» con condanne amministrative fino a 2mila dollari e penali fino a 15 giorni di reclusione per chi la viola. Sono vietati nel paese i gay pride.

Nel mondo del lavoro, in settori come quello educativo e nella pubblica amministrazione, basta una denuncia anonima di comportamenti “anomali” per essere licenziati.

I casi di violenza e abusi nei confronti degli lgbt sono numerosissimi. Nel 2016 il giornalista gay Dmitry Zilikin è stato assassinato da un neonazista omofobo. Nel 2017 le denunce di detenzione illegale, tortura e assassinio di omosessuali in Cecenia, ha scioccato il mondo intero.

Kirill Serebrennikov – regista teatrale tra i più celebri in Russia, dichiaratamente omosessuale – è stato arrestato nel 2017 con l’accusa di essersi intascato 68 milioni di rubli. Ma molti ritengono che si trovi di fronte a un uso politico della giustizia per colpire chi ha preferenze sessuali diverse da quelle propagandate dal potere. E lo scorso luglio a San Pietroburgo è stata assassinata e poi gettata come un rifiuto tra i cespugli Elena Grigoreva, una giovane lesbica attivista dei diritti lgbt.

I PREGIUDIZI OMOFOBI dei russi, alimentati scientificamente dai mass-media, sono inoltre profondamente radicati in una parte significativa della popolazione.

Secondo molti russi, che chiudono gli occhi difronte alla ricaduta dei problemi sociali esistenti nel paese come l’alcoolismo o il cattivo funzionamento del sistema sanitario, permettere la libera espressione dei gay, delle lesbiche o dei trans alimenterebbe la scarsa natalità e il calo demografico.

In un recente sondaggio di Levada Center è stato appurato che il 87% dei russi considera l’essere gay «una malattia da curare» o il risultato di «una cattiva educazione». Il 53% non vorrebbe un lgbt vicino di casa mentre il 60% rifiuterebbe rapporti amicali con «pederasti» (così vengono ancora chiamati spesso gli individui lgbt in Russia).