Non abbiamo la pretesa di cambiare il mondo, neppure di sradicare tutte le ingiustizie del pianeta, ma solo di fare ciò che è nelle nostre possibilità per evitare che gente innocente muoia annegata nel Mediterraneo.

Noi, che siamo soccorritori e soccorritrici, non potevamo continuare a lavorare nelle spiagge piene di turisti e sapere, al tempo stesso, che il nostro mare si stava trasformando in una macabra fossa comune a causa della politica ipocrita degli stati europei, apparentemente inarrestabili nella loro ossessione di far diventare l’Europa una fortezza.

La decisione del governo italiano di chiudere i suoi porti all’Aquarius e al resto delle navi di salvataggio umanitario è illegale e avrà, come conseguenza, l’aumento delle morti nel Mediterraneo.

Più morti, e nient’altro che questo: perché, in mare, le cose sono o bianche o nere, pochi minuti separano la vita dalla morte.

In alto mare le precarie imbarcazioni sovraccariche di persone sono un’emergenza e, davanti a un’emergenza, non vi è altra priorità che salvare vite ed evitare di metterne in pericolo altre. Questo, semplicemente, è ciò che facciamo noi organizzazioni di salvataggio, nonostante molti sembrino augurarsi che tutte queste persone vengano inghiottite dal mare, senza lasciarne traccia.

CON L’AQUARIUS condannata alla sua infinita Via Crucis nel Mediterraneo e con l’Open Arms in cantiere in Spagna per riparazioni sono solo due le navi umanitarie rimaste nella zona dei soccorsi di fronte alle coste libiche: la SeeFuchs e la Lifeline. Il ministro degli interni Italiano di estrema destra Matteo Salvini ha, di fatto, già avvertito che non permetterà a queste navi lo sbarco in Italia.

Navi mercantili che transitano nella stessa zona, non preparate a mettere in atto operazioni di salvataggio così complicate, hanno soccorso più di 500 persone. Nessuno sa quante ne siano annegate senza lasciare traccia.

Tutti e tutte sappiamo che ciò che è accaduto all’Aquarius non dovrebbe ripetersi.

In primo luogo perché nessun essere umano si merita tale trattamento disumano: dopo mesi passati da vittime di ogni tipo di abuso e tortura in Libia, 629 persone, inclusi minorenni, hanno dovuto sopportare sette giorni di navigazione in penose condizioni per riuscire ad attraversare metà del Mediterraneo, con onde di quattro metri, a bordo di navi che sono equipaggiate per accogliere i naufraghi solamente per poche ore.

Per caso, avete dei dubbi che tutto ciò sarebbe stato classificato come inammissibile, se si fosse trattato di cittadini e cittadine europee?

In secondo luogo, durante tutto questo tempo ci è stato impedito di fare ciò che avremmo dovuto fare: salvare vite in concreto e reale pericolo di morte. E questo oltretutto, oltre che inumano, è un assurdo spreco di denaro: il costo di questi giorni di traversata (migliaia di euro al giorno) non può essere sopportato dalle Ong che si dedicano a salvare vite nel mare.

Infine, anche mettendo da parte le considerazioni etiche e morali, la decisione del governo italiano di chiudere i porti alle navi umanitarie è illegale.

SECONDO IL DIRITTO marittimo internazionale – che ovviamente non fa distinzione tra navi umanitarie, commerciali o militari – l’Italia aveva il chiaro obbligo di offrire un porto sicuro all’interno del proprio territorio. Il ricatto  messo in atto sulla pelle di 629 naufraghi e naufraghe è inammissibile e crea un pericoloso precedente nel Mediterraneo e nell’Unione Europea che ne è altrettanto responsabile. Tutte e tutti inoltre sappiamo che la nuova idea di stabilire porti di sbarco al di fuori del territorio europeo contribuirà solo a peggiorare le cose.

È inoltre illegale l’appoggio alla autoproclamatasi «guardia costiera» di Tripoli – istruita, rifornita e finanziata dal precedente governo italiano – che non risponde a nessun governo eletto e che è stata protagonista di gravissime azioni che hanno causato morti nel mare, oltre a minacciare a suon di armi da fuoco i nostri equipaggi in più di una occasione.

Ogni volta che dall’Italia si «coordina» un’azione di questi gruppi armati nel mare si commette un’ulteriore illegalità: un respingimento collettivo che obbliga persone che potenzialmente sono rifugiate a essere riportate in luoghi nei quali la vita umana è in pericolo.

Ciò è stato dichiarato dall’Onu e dagli stessi giudici italiani che, dopo tre anni di indagini contro le Ong di soccorso in mare da parte del procuratore siciliano Carmelo Zuccaro, hanno stabilito che la nostra attività non contribuisce ad aumentare l’immigrazione illegale.

SALVINI HA INTENZIONE di visitare Tripoli con l’obiettivo di rafforzare gli accordi con la Libia. In parole povere, per poter contrattare la vigilanza delle frontiere europee con personaggi che non hanno alcun tipo di scrupolo e per le quali la vita delle persone più vulnerabili non ha valore alcuno.

Per questi motivi, ritorniamo in zona di soccorso a mettere in atto ciò che abbiamo imparato a fare di fronte al disinteresse degli stati europei: andare dove vi sono vite in pericolo per cercare di evitare che il nostro mare continui a inghiottire donne, uomini, bambini e bambine. E anche per far sì che, mentre la barbarie continua, almeno ci sia qualcuno che la possa raccontare.

* l’autore è fondatore e direttore della ong Proactiva Open Arms. Questo articolo è pubblicato su il manifesto e su El Pais