Tangenti per 50 milioni di euro e danno erariale di 3 miliardi di euro per le casse greche. Sarebbero questi, secondo i magistrati, i contorni dello scandalo Novartis, le cui carte sono arrivate ieri al Parlamento di Atene.

Per l’accusa, infatti, sarebbero state pagate tangenti per l’acquisto di vaccini e farmaci (in particolare contro il diabete e la sclerosi), da parte dello stato greco.

La vicenda rischia di complicarsi ulteriormente.

In base alla legislazione greca, i politici possono essere giudicati dalla giustizia ordinaria solo con l’’autorizzazione di una commissione d’inchiesta del parlamento e di un voto dell’aula. Solo dopo, le carte possono andare al Tribunale dei Ministri, e l’iter non è certamente tra i più semplici.

I Pm di Atene hanno fatto pervenire al parlamento una lista che contiene i nomi di dieci politici, ma in alcuni casi potrebbe trattarsi di documenti che di per sè non costituiscono reato.

Secondo le deposizioni di alcuni testimoni, come riporta il quotidiano Efimerida Syndaktòn, ci sarebbe stato un consistente giro di tangenti, per condizionare il mercato dei farmaci.

Nella lista dei politici compare il nome dell’ex primo ministro Andònis Samaràs, del tecnocrate Panajòtis Pikramènos (che è stato primo ministro per un breve periodo nel 2012), dell’ex vice primo ministro socialista Evànghelos Venizèlos, del commissario europeo all’immigrazione Dimitris Avramopoulos e dell’attuale governatore della Banca di Grecia, Jànnis Stournàras.

Nell’«affaire» sarebbero inoltre coinvolti anche ex segretari generali di ministeri, ex consiglieri di ministri e membri di commissioni. In tutto, circa 30 persone.

Il periodo di tempo in questione va dal 2006 al 2015 e la maggior parte dei dati riguarderebbe il periodo a partire dal 2010, dopo la firma del primo memorandum con i creditori.

Tra le prime reazioni, quella dell’ex primo ministro «tecnico», Panajotis Pikramenos, il quale sottolinea che nei due mesi in cui ha governato (maggio e giugno 2012), non si è mai occupato della questione.

Anche il Commissario europeo all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, sottolinea: «quando sono stato ministro della sanità, dal 2006 al 2009, non avevo alcuna competenza sui farmaci e sul prontuario». «Non ho, quindi, nessun rapporto con tutta la vicenda», aggiunge.

Negano ogni responsabilità anche l’ex primo ministro Samaràs (che grida al complotto politico e annuncia querele), il socialista Venizelos, e Jannis Sturnaras, ora a capo della Banca di Grecia ed ex ministro delle finanze. Nel frattempo, la magistratura contabile avrebbe riscontrato gravi irregolarità: sarebbe stata cancellata la posta elettronica inviata e ricevuta alla fine del 2011 e nel 2012 dall’Ente Ellenico per il Farmaco. Ed anche quella del ministero della sanità, per i prezzi dei farmaci, nel periodo 2012- 2013.

Come se non bastasse, ci sarebbero dipendenti pubblici che avrebbero sottratto dossier molto importanti per le indagini, con numeri e dati che getterebbero molta luce su tutta la vicenda. L’accusa di corruzione, tuttavia, è ormai prescritta e l’unico reato che la magistratura potrebbe contestare è quello di riciclaggio.

Oltre ai risvolti penali della vicenda, c’è, ovviamente, anche la dimensione politica. Specie a partire dal 2010, quando la Troika ha tagliato sempre più i redditi dei greci e lo stato sociale è stato portato ai minimi termini, lasciando spesso i cittadini meno protetti, anche esclusi dall’assistenza sanitaria.

Se dovesse essere provato che alcuni membri dei governi succedutisi sino al 2015 erano coinvolti direttamente nello scandalo, o ne erano anche solo a conoscenza, le ricadute sarebbero indubbiamente fortissime. Il tutto, in un paese dove Syriza, negli ultimi tre anni, ha governato gestendo una situazione di emergenza, dando anche l’assenso a tagli dolorosi, ma senza mai dover affrontare importanti accuse di malversazioni o corruzione.

E non è un caso, che il ministro aggiunto della giustizia, Dimitris Papanghelòpoulos, dichiari che si potrebbe trattare «del più grosso scandalo, da quando esiste lo stato greco».