Fabbriche costrette a produrre a singhiozzo, black-out delle centrali sempre più frequenti e bolletta domestica del gas più cara del 25% rispetto all’anno scorso. Le previsioni degli esperti sull’impatto della crisi energetica in Germania sono catastrofiche, e i due salvagenti a cui Berlino sperava di aggrapparsi sono ancora sgonfi: il controverso gasdotto russo-tedesco Nordstream 2 nella migliore delle ipotesi entrerà a regime la prossima primavera, sempre che Verdi e liberali non ottengano la sua «moratoria» dalla Spd al tavolo dei negoziati per il governo “Semaforo”, e il boom delle rinnovabili si è spento come certifica l’ultimo rapporto dell’Ufficio federale di statistica secondo cui nel 2021 la prima fonte di energia del Paese rimane il carbone e i kilowatt prodotti da combustibili fossili sono aumentati del 21% fino a rappresentare il 56% del totale.

Numeri sintomatici in grado di archiviare la «storica svolta» celebrata l’anno scorso con il record di energia eolica ma anche capaci di mandare in tilt l’intero sistema di approvvigionamento e forniture. Esemplare la sospensione dei nuovi contratti annunciata ieri dal colosso energetico E.on con sede a Essen che serve ben 35 milioni di clienti. «Purtroppo dal 19 ottobre non potremo più offrire prodotti basati sul gas naturale» è la nota che segue l’avviso due mesi fa sul rincaro delle tariffe fino a oltre 200 euro per megawattora: il record del decennio.

Un’autentica mazzata per le famiglie tedesche che consumano in media 2.000 kilowattora all’anno quanto un enorme problema per le riserve strategiche nazionali di gas imprescindibili per proteggersi dalla fluttuazione dei prezzi sul mercato globale: attualmente coprono appena un quarto dei consumi annuali. «La flessibilità dell’importazione di energia è diminuita, per questo gli stoccatori di gas stanno pianificando di aumentare i volumi di 6 miliardi di metri cubi» conferma l’Associazione federale per gas, petrolio e geoenergie (Bveg). Si aggiunge all’allarme legato al gasolio da riscaldamento le cui tariffe sono già schizzate dell’87% rispetto al 2020.

Finora i recenti black-out delle centrali sono stati ufficialmente ricondotti a «cause di natura locale» eppure i casi negli impianti tedeschi si moltiplicano: a Dresda e Wiesbaden già a fine settembre sono state rilevate «diffuse interruzioni di energia» mentre dieci giorni fa è andata in “corto” l’intera rete dalle parti di Padeborn. Da qui l’ipotesi, sempre meno teorica, che il governo possa chiudere temporaneamente singole industrie particolarmente energivore.

Mentre il Nordstream 2 sotto al Baltico è completato al 100% e dieci giorni fa è iniziato il primo pompaggio di gas per i test tecnici ma non è ancora arrivato il via libera dell’Agenzia federale per l’Energia (previsto entro gennaio 2022) e tantomeno la valutazione della Commissione Ue che sarà anzitutto politica. Due grane da sommare alla netta opposizione al gasdotto di Gazprom di Verdi e liberali che proprio in questi giorni trattano la partecipazione al governo con la Spd: il maggior sponsor della pipeline russo-tedesca nel cui Cda siede l’ex cancelliere Gerhard Schröder.