A Palermo tutti, anche la signora Emma sull’autobus 107, pensavano che alla conferenza sulla Libia che ha militarizzato la città portando un sacco di disagi «non è venuto nessuno, aspettavano Trump ma non è venuto neanche Aktar».

S’INTENDE IL GENERALE Kalipha Belqasim Haftar, di cui non tutti sanno vita, morte annunciata e miracoli di resurrezione in una clinica di Parigi e neanche che era un generale già ai tempi di Gheddafi che poi gli ha girato le spalle durante la guerra in Ciad per andare in America e tornare dopo la caduta del dittatore per diventare «l’uomo forte della Cirenaica». Vale a dire il rivale del premier di governo Serraj riconosciuto dall’Onu e sponsorizzato dall’Italia, il garante di molti interessi e clan legati al vecchio regime gheddafiano, l’acerrimo nemico dei salafiti, dell’Isis e l’alleato di fiducia di Francia, Russia e Egitto, finendo per interpretare la più «pop» delle sue molte vite da araba fenice.

A Palermo l’attesa spasmodica del governo italiano sulla sua presenza alla conferenza organizzata a Villa Igiea, confermata per via ufficiale, smentita ufficiosamente, riconfermata ma a mezza bocca e lasciata in forse, come per la più ricercata delle dame, è sembrata tutto il giorno sul punto di essere delusa. Il generale, arrivato in serata, ha infatti snobbato la cena ufficiale e si è incontrato solo brevemente con il premier Conte e il ministro Moavero sul tappeto rosso della villa, prima di fissare un incontro bilaterale alle 23, ma dal quale nulla è fin qui trapelato.

DEL SUO TERGIVERSARE fino all’ultimo momento utile si era parlato con ironia persino alla manifestazione che ieri ha sfidato la zona rossa tra blindati, bus deviati, scuole chiuse, strade sbarrate elicotteri notturni con la luce periscopica sul concentramento in piazza della Marina che pure si trova lontano dall’hotel dove in contemporanea si svolgevano le riunioni preliminari e dove Conte accoglieva le 38 delegazioni estere. Tanta polizia anche a blindare il corteo anche se non c’è stata nessuna tensione. E neppure la sera di domenica, quando i centri sociali hanno organizzato una street parade affollata di giovani, per «ridare alla città uno spazio di libertà».

AL CORTEO DI IERI c’era meno gente,dietro lo striscione «Liberiamo il Mediterraneo» ma in rappresentanza di tutto un mondo di associazioni, circoli, centri sociali, sindacati che già da domenica hanno dato vita a iniziative di dibattito e di approfondimento sulla Libia e sulla situazione dei migranti sulle due sponde del mare, con il controvertite «Interferenze sulla Libia» che continua oggi.
«Noi non siamo pregiudizialmente contro i vertici se servono per il dialogo e per pacificare la Libia – dice Roberto Zampardi, attivista di Amnesty International che porta lo striscione giallo “Verità per Giulio Regeni” – qui non è inusuale trovare persone che si ricordano il periodo di Gheddafi, per averlo vissuto in vacanza o per lavoro, e lo rimpiangono. Anche se è indubbio che fosse un dittatore, la tremenda instabilità di oggi, sembra non interessi. L’Italia è concentrata solo sugli affari e a contenere i migranti».

«Ci dicono che sono gli immigrati che ci rubano il lavoro ma è il governo che ce lo ruba, invece di pensare alla Libia solo per spartirsela, per fare piani di guerra, vendere armi e cacciare i migranti dovrebbero pensare a come ridare lavoro e servizi alle persone», dice Donatella Anello dello Slai Cobas in piazza con un gruppo di 160 «assistenti igienico-personali» – quasi tutte donne – ai ragazzi disabiliti che hanno appena perso il lavoro nelle scuole cittadine. Nel corteo si fondono esperienze diverse: dai No Muos delusi dai Cinquestelle, ad associazioni antimafia come quella intitolata alla pentita Rita Adria che si batte «contro tutti i sistemi di morte» e per i principi democratici «perché solo così si combattono le mafie», dalle varie sigle della sinistra riunite a livello comunale in un’unica lista – «si chiama Sinistra in Comune e magari servisse da esempio a Roma» – fino agli anarchici del circolo Fai Alfonso Failla.

«IL NOSTRO PERCORSO è partecipato da realtà anche molto diverse perché sulla Libia si fondono tutte le contraddizioni, dalla guerra, all’ambiente, ai migranti», spiega Fausto Melluso del circolo Arci Porco Rosso. «E anche dopo questo vertice, non smetteremo di occuparcene», aggiunge. «Perché noI siamo la parte lesa».