Donald Trump aveva dalla sua 14 stagioni di The Apprentice; ma, dal giorno in cui, nel 1992, salvò la carriera politica di suo marito (accusato di una relazione extraconiugale)- apparendo al suo fianco su «60 Minutes» («lo amo, lo rispetto stimo il nostro rapporto. Questa è una questione tra me e lui. Se non vi va -che cavolo!- non votatelo»), alle undici ore consecutive di testimonianza di fronte a una commissione congressuale su Bengasi, Hillary Clinton ha fatto tesoro di momenti televisivi ben più difficili da controllare della board room di un reality show, e in cui partiva svantaggiatissima.

Parecchi la davano svantaggiata anche lunedì sera -dopo tutto Trump è un «maestro» della manipolazione dei media che, nei dibattiti delle primarie, aveva prima tormentato e poi polverizzato, a forza di insulti i suoi quindici rivali. Ma, fin dai primi istanti, si è capito subito che Hillary non avrebbe fatto la fine di Jeb Bush, Ted Cruz o Carly Fiorina. Schermo diviso perché i due candidati fossero sempre visibili, anche quando non avevano la parola -l’immagine stretta poco al di sotto del mezzo busto- Hillary a destra, in rosso vivo, Trump a sinistra, vestito scuro cravatta blu forte.

Lei, fin dalla stretta di mano iniziale, lo chiamava sempre e solo «Donald», lui dopo un paio di «Hillary», si è con riluttanza adattato al più formale «segretario Clinton» («ti va bene segretario? Perché voglio che tu sia contenta», ha detto mellifluo l’uomo che aizza le folle contro «Hillary la truffatrice» e sorride ai canti di «Kill her»).

Anticipato come uno dei più seguiti della storia il primo dibattito delle presidenziali 2016 era stato paragonato a uno dei mitici incontri tra Mohammed Alì e Joe Frazier. Tra i due avversari, è stata Clinton (che dietro al podio aveva uno sgabellino per apparire più alta del suo metro e sessantacinque) a partire all’attacco, portando Trump sulla difensiva in tema economico – quello su cui lui si sente più forte – sui quattordici milioni ereditati da suo padre, su tutta la gente che non ha mai pagato, le bancarotte, le riduzioni fiscali per i ricchi che beneficerebbero la sua famiglia, le bugie, le tasse di cui non si sa nulla…Partendo dall’esperienza personale di Trump per evidenziare le differenze delle rispettive politiche, Clinton lo costringeva a concentrarsi su di sé – cosa che ama fare comunque, ma che qui lo faceva sembrare grottescamente preoccupato di stesso. Non abituato agli attacchi frontali, quando non aveva la parola, dalla metà sinistra dello schermo, Trump sbuffava, scuoteva la testa, grugniva, interrompeva, faceva facce esasperate, incapace di stare fermo – i confini del podio e dell’inquadratura un limite da cui avrebbe visibilmente voluto esplodere.

Nei momenti più riusciti della sua performance (durante la prima mezz’ora) ha ricordato più volte che Clinton fa politica da decenni e che lui porterebbe cose diverse ma poi non era capace di ancorare il suo messaggio sul nuovo a niente di concreto. Perché, come prevedibile, non si era preparato, contando di improvvisare.

Anche qui, il formato del dibattito – che aveva limiti di tempo ben precisi per le risposte -non era congeniale alla sua abituale mancanza di disciplina. Quindi le tirate estemporanee con cui di solito evita di rispondere alle domande, lunedì sera sembravano meno coerenti. Al punto che, in uno scambio sul problema della razza, ha tirato fuori un suo club della Florida in cui ha assunto anche neri e ispanici, e che è «bellissimo». Mentre sulle cyber war, ha evocato suo figlio di dieci anni che sarebbe un genio di computer. Più irritato, distratto e stufo con il passare dei minuti, verso la fine Trump era anche fiacco.

Così quando è arrivata la domanda sulla stamina, e cioè la resistenza fisica, e lui era praticamente alle corde, è stato facile per Hillary lasciare cadere: «Dopo che ha girato 112 paesi diversi, negoziato tregue, trattati, e accordi come ho fatto io; dopo undici ore davanti a una commissione del Congresso, Donald potrà parlare di stamina». Dietro alla stanca smorfia di scherno lui non vedeva l’ora di andarsene. Impossibile per ora prevedere la ricaduta del dibattito sui sondaggi. Certo, se lunedì sera, alla Hofstra University, fosse stata una puntata di The Apprentice, the Donald sarebbe stato licenziato in tronco. È questo l’ha capito anche lui.