Scritto da Ilias Venezis, un bambino «oneiroparmèno», «preso dai sogni», che guardando la realtà con occhi chiusi e insieme apertissimi ne coglie con straordinaria sensibilità e precisione gli «umori» e le infinite sfumature dei colori, dei profumi, degli odori, dei panorami, degli idiomi espressivi che la abitano e la rendono viva, Terra Eolica (cura e traduzione esemplare di Francesco Colafemmina, Prefazione di Anghelos Sikelianos, Settecolori, pp. 344, € 34,00) è datato 1942,  mentre Atene era drammaticamente afflitta dalla carestia subentrata all’occupazione nazifascista.

Ilias Venezis era nato all’inizio del secolo scorso a Ayvalik, una piccola città di mare della costa turca nord-ovest del mar Egeo, i cui abitanti erano quasi esclusivamente di religione ortodossa e parlavano il greco. Discendenti, in parte realmente, in parte per leggenda, dell’antica Ionia, provenivano dalla Grecia (all’epoca in cui era ancora parte dell’impero ottomano) e dal vicino entroterra. Venezis racconta il legame intenso, sensuale, con la sua terra, costruendo una narrazione di sé indissociabile dall’infanzia e dal suo luogo di origine: il titolo Terra eolica allude alla dimora di Eolo, padrone dei venti, che provenienti dalle montagne improvvisamente agitano il mare, creano tempeste capaci di affondare le navi. Poi improvvisamente si placano. E sul mare regna la quiete.

Abita il mare Gorgone, sorella di Alessandro il Magno secondo la leggenda più importante dei naviganti greci. È lei a decidere la sorte dei marinai che rischiano il naufragio. Li salva se le dicono che Alessandro non è morto, ma è vivo e regna.  Venezis non lo dice, e non lo «sa», ma lo intuisce: Gorgone è la madre sensuale, la «madre seduttrice», direbbe Freud, la sirena di Ulisse. Di lei il libro parla poco, ma la sua apparizione, situata nei confini incerti tra sogno e realtà, è l’epicentro dell’intera struttura narrativa, regge la tessitura invisibile della sua trama.

«Nata per amare», Gorgone  è orfana del suo oggetto d’amore: l’uomo fratello, nemico-amico del suo desiderio. Apparsa come visione catturante e, al tempo stesso, sfuggente, prende consistenza, riflettendosi nelle due figure femminili più significative del libro, che dettano il suo movimento e il suo ritmo: Artemis, la sorella del narratore, e Doris, nata dal matrimonio della figlia di un pescatore di Mykonos con un nobile scozzese amante della Grecia antica, che sposata a sua volta con un giovane greco è andata a vivere nella terra di Venezis. La prima sogna gli oceani e i paesi lontani, legata a ogni elemento della natura che la circonda e in cui costantemente si addentra con spirito di avventura, piena di inquietudine e di attesa, amante dell’imprevisto e del rischio. In Doris, venuta dall’altra parte del mondo, si riflette l’adolescente Artemis,  che vagheggia le terre di provenienza di Doris senza averle mai viste. Incarnate in queste due figure, le due età femminili si incontrano, si detestano, si amano, e naturalmente si riconoscono l’una nell’altra.

                  

Ispirato alla passione amorosa femminile, che mette insieme il mare sereno e la tempesta (nel significato originario antinomico della parola «eros»), il romanzo trascina fino a travolgere (accade al giovane cacciatore innamorato di Doris o al sellaio che perde la testa inseguendo il segreto che gli farebbe conquistare la sua amata) trovando per le due figure femminili un contrappeso in due personaggi maschili, che incarnano gli antipodi del sistema sociale: il nonno materno, capace di coltivare e trasformare in ricchezza la terra; e un contrabbandiere in cui rivivono gli eroi omerici, la loro insofferenza alle regole e la loro sfida temeraria alla morte.