L’ultima data utile è mercoledì 21 febbraio, quando i tre leader del centrodestra saranno tutti a Cagliari per la chiusura della campagna elettorale per le regionali. Occasione perfetta per il vertice sul terzo mandato. Il giorno dopo, in commissione Affari costituzionali del Senato, inizieranno le votazioni sugli emendamenti al decreto Elezioni, incluso quello leghista sul terzo mandato. La rottura sarà inevitabile, salvo accordo tra i leader. La palla è nelle loro mani.

Il presidente della commissione Alberto Balboni lo dice chiaramente. Non esclude del tutto la possibilità di risolvere il problema per via procedurale, considerano inammissibile l’emendamento, però ci va molto vicino: «Devo approfondire con gli uffici ma è inutile nascondersi dietro un dito: la questione è politica è mi auguro sia risolta a livello di vertice politico».

FACILE A DIRSI, quasi impossibile a farsi. FdI è lanciata all’attacco. La Lega resiste. In questi mesi Matteo Salvini ha ingoiato di tutto, sempre fingendo di apprezzare le indigeribili pietanze, ultima nella liste delle offese l’intesa Meloni-Schlein raggiunta senza neppure consultarlo. Ma la conquista tricolore del Veneto, perché di questo e solo di questo si tratta, è un’altra cosa, uno dei pochi passaggi che potrebbero davvero mettere in crisi il rapporto tra Lega e FdI. Probabilmente non con conseguenze immediate ma alla prima occasione sì e le occasioni, nella politica italiana, prima o poi si presentano sempre.

A guidare la carica dei Fratelli è il ministro Luca Ciriani: «Per noi la questione ora non si pone. Di terzo mandato si può discutere ma non con un blitz, non con un emendamento all’ultimo momento». Molto meglio, se proprio non se ne può fare a meno, litigare quando la Camera discuterà del ddl in materia presentato sempre dalla Lega. In data da destinarsi, possibilmente molto lontana. Ciriani infierisce anche sul presidente del Veneto Luca Zaia: «È stato un ottimo governatore ma sarebbe al quarto mandato. Nessuno è eterno, neppure lui». L’«ottimo ex governatore», almeno negli auspici di Ciriani, non sceglie la zuffa: «Simpatico.. Carino… Ma se a decidere la classe dirigente devono essere i cittadini va tolto il limite dei due mandati e dire che col terzo si creano centri di potere offende i cittadini».

Il compito di fare la voce grossa, al solito, se lo assume il vicesegretario leghista Andrea Crippa. Prima fa filtrare la possibilità di rivalersi del ceffone sul premierato, poi smentisce ma fino a un certo punto: «Non giochiamo ai ricatti e non incitiamo allo stop sul premierato ma chi governa deve potersi sottoporre al giudizio del popolo. Conta la democrazia, non i tavoli romani». Se Crippa gioca duro, salvo smentite di prammatica, il Fratello-cognato Francesco Lollobrigida è anche più ruvido.

Rievoca addirittura il precedente di Gianfranco Fini contro Berlusconi, per segnalare che fine fanno, a destra, quelli che «lavorano per dividere». Precedente per precedente gli si potrebbe far notare che anche quello di Umberto Bossi nel 1994, con annessa sconfitta della destra nel 1996, potrebbe avere un qualche peso. In fondo se la vicenda non è stata ancora risolta d’imperio è proprio perché la premier Meloni vuole il Veneto ma non vuole una Lega trasformata in bomba a orologeria, in attesa solo dell’occasione giusta per esplodere.

CERTO, NEL 1994 Bossi aveva una sponda in D’Alema, senza contare le capacità incomparabilmente superiori a quelle del poco amato erede Salvini. In questo caso, invece, la Lega non ha sponde neppure sul nodo del terzo mandato. La segretaria del Pd Elly Schlein è decisa ad affossarlo almeno quanto la premier: altro modo per sbarazzarsi di quei centri di potere autonomi dalla sua leadership che sono i governatori non lo vede. Ma sul tema il Pd non rispetta la consegna di tenere a bada le polemiche fino alle europee e lo scontro divampa, appena messo in sordina dalla necessità di non oscurare le divisioni a destra. Puntano i piedi gli amministratori, che nel Pd sono una potenza al massimo livello, fiancheggia la minoranza, esitano in silenzio anche molti della maggioranza perché senza terzo mandato finiscono a rischio regioni come Puglia, Campania e la stessa Emilia. Schlein resta decisa ma in realtà rischia grosso anche lei.