Si sono svolti ieri alla Casa della Resistenza di Verbania i primi test del dna, tramite tampone salivare, ai presunti familiari di alcuni dei 33 partigiani fucilati dai nazifascisti nel giugno del 1944 a Verbania, Baveno e Pogallo, nel Verbano-Cusio-Ossola. Gli esami rientrano nel progetto «Diritto al nome, diritto alla memoria» promosso dalla Casa della Resistenza di Verbania e dal Labanof, Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’Università di Milano, che ambisce a dare un nome ai 33 partigiani, finora ignoti, fatti prigionieri durante il rastrellamento in Val Grande.

Nei mesi scorsi, grazie a un lavoro di ricerca storica da parte della Casa della Resistenza cominciato dall’analisi degli elenchi dei dispersi stilati dalle formazioni partigiane alla fine della guerra, si è giunti a contattare alcune persone ritenute possibili famigliari dei partigiani caduti. Contemporaneamente il Labanof, diretto da Cristina Cattaneo, ha eseguito indagini radiologiche, antropologiche, odontologiche e chimiche sui 33 cadaveri. L’esame del dna, a cui finora si sono sottoposti i presunti familiari di due partigiani, è la prova definitiva con cui giungere all’identificazione.