A suscitare dubbi e preoccupazioni, tra le tante iniziative di Trump nella sua prima settimana di governo, è la nomina di Ajit Pai come presidente della Federal Communication Commission (Fcc), agenzia incaricata della regolamentazione delle comunicazioni. Pai è un repubblicano tradizionale, contrario alle regolamentazioni nei confronti dei privati e intenzionato a favorire il libero mercato anche nei settori della tecnologia, riaprendo l’annosa e tuttavia attuale questione della neutralità della Rete, della quale Pai ne è un acerrimo nemico.

La net neutrality, per dirla con le parole del collettivo di avvocati francesi La Quadrature du Net, molto attivi sul fronte dei diritti digitali e noti per l’impegno anti-Acta nel 2012, «è il principio che garantisce che gli operatori telefonici svolgano soltanto il ruolo di trasmettitori, senza che questi possano discriminare utenti, comunicazioni o accessi». Trasparenza e accessibilità quindi per chiunque sia disposto di connessione, senza corsie preferenziali per i fornitori di contenuti disposti a pagare i provider (fornitori di servizi Internet).
Dopo un lungo periodo di discussione, durante il governo Obama la Fcc aveva approvato una legge per garantire la neutralità.

Adottato dal 26 febbraio 2015, l’«Open Internet Order» considera i provider come utility pubbliche, mettendo così al bando il blocco clandestino dell’accesso a contenuti legali, il throttling della banda (rallentamento intenzionale del servizio) e le corsie preferenziali, imponendo regole più severe ad aziende private che forniscono rete come Comcast, Verizon e AT&T.

Gli oppositori della neutralità, tra cui Pai, dichiarano che la regolamentazione non sia necessaria, in quanto il rischio di una eventuale discriminazione da parte dei provider non esiste, e che la neutralità della Rete costituisce un vincolo al libero mercato. «Dobbiamo accendere il tagliaerba e rimuovere quelle regole che stanno ostacolando gli investimenti, l’innovazione e la creazione di posti di lavoro», ha dichiarato Pai.

È da notare che multinazionali del web – tra cui Google, Facebook e Netflix – sostengono le politiche di Net neutrality, perché sfavorite da un eventuale «pedaggio a pagamento». Le parti in gioco nel dibattito possono sembrare confuse (ricordiamo che Google e Facebook lottavano anch’esse contro Act insieme ai mediattivisti), ma questo caso come altri dimostra quanto nel business dell’informazione si trovino più poteri, politici ed economici, talvolta in contrasto o contraddizione tra loro.

Nel 2014 scoppiò una rivalità tra Netflix e Comcast, il più grande operatore via cavo degli Stati Uniti, a causa della richiesta di quest’ultimo di un pagamento per la distribuzione di contenuti. Netflix si appellò alla neutralità della Rete. Senza neutrality, mentre da un lato i colossi del web si trovano il loro business minacciato, così associazioni per i diritti digitali temono rischi per la libertà di informazione, e i provider intravedono enormi possibilità di guadagno. Una partita complessa e in pieno sviluppo, dove al centro vi è la contesa di un bene comune, la Rete.